di Maurizio Portaluri
Il discorso del primo ministro Gentiloni per l’inaugurazione della 81° Fiera del Levante, ascoltato dopo la lettura del libro “Buonanotte Mezzogiorno” permette di comprendere la gravità della situazione per il Sud. Non si vuole confondere politica e studio sociologico ( si converrà che questa separazione è molto difficile) ma le conclusioni del libro trovano conferma nel suddetto discorso: la visione della classe dirigente nazionale e meridionale rimane interna alla logica del mercato, dove chi è capace di entrare avrà sicuramente successo, e non resta che svegliare dal sonno gli attori locali e invocare l’intervento regolatore/sanzionatorio del governo centrale. La ricetta del Governo sono sgravi, alias lavoro a basso costo, turismo, cultura, industria 4.0.
Il libro curato da due sociologi della Università di Bari, Daniele Petrosino e Onofrio Romano (Carocci Editore, Roma, 2016) è diviso in tre parti: Mezzogiorno:l’impatto della lunga recessione (di Tonino Perna e Fabrio Mostaccio) che descrive il precipitare della distanza del Sud dal resto del paese a partire dall’avvio della recente crisi soprattutto per la riduzione, dopo la fine dell’intervento straordinario, dei trasferimenti, sostituiti ma non affiancati – come doveva essere – dai fondi europei; La parte cattiva dell’Italia: il Sud delle news e dell’Italia (di Valentina Cremonesini e Stefano Cristante) che analizza il modificarsi dell’immagine del Sud in un periodo di un trentennio (1980-2010) nei giornali nazionali, nella rete, sul grande e sul piccolo schermo descrivendo la scomparsa del Sud come tema nazionale dopo il 2000 e la permanenza degli sterotipi del Sud criminale, incapace, arretrato; Lenti a mezzogiorno. L’immaginario bloccato della classe dirigente meridionale, redatta dagli stessi curatori che muove da questionari e da alcune interviste alla classe dirigente meridionale (politici, docenti universitari, imprenditori, nuove elìte scelte tra i promotori di aziende nel progetto “bollenti spiriti”).
Lo studio scandaglia le “visioni” delle diverse figure e ricava una mentalità variegata ma convergente su alcuni elementi: puntare sul localismo, la modernizzazione, il mercato. Una visione insufficiente per i curatori che registrano il passaggio da un “localismo virtuoso” ad un “localismo riflessivo” o “disilluso” conscio cioè dei limiti del localismo post intervento straordinario, sempre in attesa dell’intervento centrale e fiducioso nel mercato e nelle risorse locali, incerto tra i mercati mediterranei e quelli mondiali, titubante sul manifatturiero.
Importante anche il distinguo con un la tesi dello storico dell’economia Emanuele Felice, di recente affacciatosi al panorama editoriale con Perché il Sud è rimasto indietro? (Il Mulino, Bologna 2014) che attribuisce alla classe dirigente meridionale, definitiva “estrattiva” (cioè modernizzante fino al punto però da non intaccare la propria egemonia basata sul clientelismo e sull’ignoranza) la colpa del ritardo di modernizzazione. Felice aveva dimostrato che nel periodo dell’intervento straordinario il Sud era molto progredito e aveva ridotto la sua distanza dal Nord in vari campi (la convergenza). La critica a Felice riguarda l’aspetto dell’infrastruttura arretrata (come fa una classe dirigente a portare modernizzazione se le infrastrutture sono arretrate?) e quello della classe dirigente nazionale assunta comunque come migliore di quella locale.
A valle dell’indagine lo studio conclude che la visione rilevata nelle classi dirigenti meridionali non sia adeguata alla gravità della situazione, perché fa “trasparire una subalternità al paradigma egemone” cioè quello liberista mentre la sfida, non solo al Sud, dovrebbe essere quella di capire “come sia possibile mantenere una vita attiva in una società che, considerate le sue dotazioni cognitive, organizzative e tecniche, si staglia ben al di là della questione della sopravvivenza e della scarsità di risorse”.
Da una prospettiva non specialistica, il libro rappresenta un contributo di sicuro interesse per conoscere gli indicatori economici più aggiornati della persistente differenza tra Centro-Nord e Sud (conoscenza necessaria ma sempre deprimente) e per scrutare le convinzioni delle classi dirigenti meridionali. Si può condividere lo scetticismo sul persistente localismo, cioè sulla fiducia nelle energie locali per proiettare il Mezzogiorno nel mercato (mondiale o mediterraneo che sia). E’ sicuramente interessante l’indicazione di un necessario superamento di una economia produttivistica in un mondo occidentale che non sa dove collocare le sue merci perché prodotte in abbondanza o perché prive di acquirenti. Si tratta di una sfida difficile ma forse necessaria anche se non se ne intravedono i contenuti almeno preliminari o modelli da qualche parte realizzati. Uno spazio maggiore meritava il problema della criminalità organizzata ed il suo ruolo negativo sullo sviluppo economico e civile, così come lo stato delle istituzioni locali e la forte emigrazione giovanile. Così come il livello di disguaglianza sociale all’interno delle diverse aree del paese per comprendere se il Centro-Nord sia davvero un modello da emulare. Lo studio di Emanuele Felice metteva in evidenza l’incepparsi della modernizzazione anche al Nord, probabilmente fenomeno concomitante all’espansione della criminalità anche in quella parte del paese. Sarà un caso che nel discorso del presidente del Consiglio con cui abbiamo cominciato a scrivere questo il problema della criminalità non sia stato toccato?
9 settembre 2017