Angelo Consoli*
Si parla sempre più spesso di decarbonizzazione dei modelli produttivi. Per l’Unione Europea (che oggi con la Energy Union completa la strategia iniziata nel 2007 con la Dichiarazione Scritta 216 05/07/2007, e il pacchetto 20 20 20) questo significa pianificare una transizione verso un modello economico di Terza Rivoluzione Industriale (TRI), basato sulle fonti rinnovabili in cui tutti i cittadini diventano consumatori-produttori di energia (prosumer) e in cui i grandi gruppi energetici perdono il loro potere di condizionamento economico politico mediatico e si limitino a offrire servizi energetici basati sull’integrazione fra tecnologie solari.
Questo nuovo modello, ad altissima intensità occupazionale, già adottato da molte regioni virtuose del Nord Europa (Olanda, Francia, Belgio, Lussemburgo), mira a una economia post-carbon, più ricca e più pulita.
Per altri invece decarbonizzare significa puntare sul metano anziché sul carbone, ma si tratta di un concetto sbagliato di decarbonizzazione che non cambia il modello fossile ma si limita solo a mitigarne alcuni effetti. Infatti, il metano è una fonte fossile come il petrolio e il carbone, che se emesso in atmosfera incombusto, genera un effetto serra 20 volte più potente della stessa CO2. Il metano, insieme agli altri idrocarburi, appartiene a uno scenario economico superato che ha prodotto l’attuale devastazione del territorio, dell’ambiente, del clima e della salute umana che vediamo a Brindisi, a Taranto e in tutto il Salento.
Ma l’era fossile ha prodotto anche una crisi socio economica perché l’industria degli idrocarburi ha dato vita a una società estremamente centralizzata e verticistica, in cui tutte le decisioni sono prese da poche lobby e la ricchezza si è concentrata in poche mani a discapito della stragrande maggioranza della popolazione mondiale.
Le fonti fossili infatti, sono oligarchiche e il loro sfruttamento presuppone una altissima intensità di capitali e un ancor più elevato standard di profitti e, alla fine del loro ciclo storico, sul territorio lasciano solo povertà, inquinamento e disoccupazione, come osserviamo a Brindisi e a Taranto.
Un nuovo modello economico più pulito e democratico, non significa solo che l’ENEL può vendere anche gas e l’ENI anche elettricità, ma anche che ogni cittadino, ogni impresa di Brindisi possano entrare nel mercato dell’energia, producendola, accumulandola e scambiandola, con le tecnologie TRI che sono alla portata di tutti.
E’ un cambio totale del paradigma economico. Facendo ricorso a fonti solari di cui il nostro territorio è ricco, (piuttosto che quelle fossili, che dobbiamo importare dall’altro capo del mondo, con grande impatto ambientale e spreco energetico) possiamo creare una società di eguali che utilizzano la radiazione diretta del sole per alimentare le proprie attività economiche ed umane: è l’occasione di un grande processo globale di redistribuzione della ricchezza.
In questo nuovo modello i gasdotti non servono più neanche come soluzione “di transizione”, perché nessuna transizione può comportare investimenti “faraonici” come quelli previsti per TAP. Il metano poteva essere una soluzione “di transizione” negli anni 70 (quando invece si é preferito puntare sul nucleare), mentre invece oggi col cambiamento climatico a livelli record, l’unica “transizione” seria verso le rinnovabili, sono le … rinnovabili.
TAP è un’opera totalmente superflua, perché il mercato del metano è in crisi da sovrapproduzione con una offerta più che doppia della domanda. Infatti sono in fase di smantellamento ben 23 centrali a idrocarburi (1) perché in Italia abbiamo una potenza installata (125.000 Mwp), che gli esperti calcolano come più che doppia rispetto a quella necessaria a far fronte alla domanda di picco (che fu raggiunta nel 2006).
Alla luce di questi dati si comprende come l’ultimo dei problemi che ha oggi l’Italia sia quello di aumentare la propria capacità di produrre energia dai fossili e specialmente dal gas, e quindi di realizzare nuove centrali e nuovi gasdotti per alimentarle.
Invece abbiamo altri problemi: innanzitutto dobbiamo formare una nuova generazione di brindisini che conoscano bene e possano installare sul territorio tutte tecnologie TRI per migliorare l’efficienza energetica degli edifici e dei processi produttivi (sprechiamo troppa energia!), alzare la quota di rinnovabili sulla generazione elettrica complessiva, e portare la distribuzione digitale (Rifkin la chiama Internet dell’energia) attraverso le smart grid, la domotica, la sensoristica, l’idrogeno, in tutte le case e le imprese. Ecco il vero business dell’energia del futuro, le professioni per cui vanno formati i giovani brindisini e pugliesi, (oltre che per le professioni che valorizzino la vocazione turistica del nostro territorio con i suoi asset enogastronomici, paesaggistici, archeologici, naturalistici e culturali). Questa nuova strategia formativa potrebbe nascere proprio a Brindisi con la creazione di una Open School per la valorizzazione delle risorse storiche e energetiche del territorio, perché Brindisi (come Taranto) è una città ricca di energia solare e di storia e cultura, ma ferita da 50 anni di una politica industriale fossile che hanno lasciato in eredità depressione economica e disastri ambientali (come la discarica di Micorosa). Brindisi va risanata e non aggravata di ulteriori impianti fossili di nessuna utilità. Il futuro dell’energia e dell’economia è già incominciato e per accelerare la transizione verso di esso dobbiamo giocare d’anticipo, ricominciando dalla nostra cultura e dal nostro capitale umano adeguatamente e opportunamente formato.
(articolo pubblicato su La Gazzetta del Mezzogiorno del 26 settembre 2017)
*Direttore dell’Ufficio Europeo di Jeremy Rifkin e Presidente del CETRI-TIRES, Circolo Europeo per la Terza Rivoluzione Industriale
(1) http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/09/19/enel-spegne-23-centrali-i-sindacati-protestano-ma-loccasione-e-irripetibile/3042014/