Di Antonio Greco
Nel sistemare le tante carte sparse del mio archivio mi sono imbattuto in un editoriale del Quotidiano di Lecce di sabato 5 giugno del 1993, vigilia delle votazioni amministrative in cui per la prima volta si votava con la riforma elettorale della elezione diretta del sindaco dopo l’approvazione della Legge n. 81 del marzo del 1993.
L’editoriale era firmato da Gianni Giannotti. L’avevo conservato per un particolare. Ero candidato sindaco nel mio Comune di Veglie e Giannotti, a conclusione del suo editoriale, scriveva: “Gli elettori di un piccolo comune, come può essere Veglie nel Salento, o di una grande città, come può essere la Milano già di Turati, o la Torino, già di Gramsci e di Gobetti, ci daranno dei segnali molto significativi e si dovrà saperli ben interpretare, soprattutto a sinistra”.
Ho conosciuto personalmente Gianni Giannotti. Ho letto spesso i suoi editoriali, ho seguito le sue attività politiche e amministrative con cui ha combattuto il sottosviluppo e l’emarginazione ma non avevo letto i suoi libri. E’ morto nel luglio del 2003. Nei mesi precedenti aveva tenuto venticinque lezioni per un corso di sociologia sui caratteri sociologici dell’arretratezza del Mezzogiorno. Il testo scritto di queste lezioni è stato recuperato e pubblicato nel 2016 da Franco Merico e Luca Carbone dell’Università del Salento presso l’editore Besa, pp. 212, € 20,00.
Le lezioni del compianto Giannotti sono di una attualità sorprendente. Il testo ha per titolo “Sociologia e sviluppo del mezzogiorno”, a cura di Merico-Carbone.
Alla presentazione di Vitoantonio Gioia, direttore del dipartimento di storia, società e studi sull’uomo, Università del Salento, seguono le note di Franco Merico (Gianni Giannotti: la sua eredità culturale dieci anni dopo) e di Luca Carbone (Un intellettuale inattuale). Le lezioni sono precedute da un interessante saggio di Cosimo Perrotta dal titolo: “Le lezioni sul Mezzogiorno di Gianni Giannotti”[1].
Giannotti si pone, nella prima lezione, la domanda sulle caratteristiche sociologiche del sottosviluppo e in che modo questa società sottosviluppata reagisce a eventuali iniziative di sviluppo promosse dall’esterno.
Giannotti sostiene che l’arretratezza del mezzogiorno ha motivazioni complesse da ricercare in una serie di cause fra loro concatenate. In modo rigoroso e scientifico Giannotti fotografa una realtà, quella del sud che ha conosciuto per esperienze sul campo, in cui il vero punto debole è la mancanza di una cultura dell’autonomia e della democrazia, che sappia opporsi al controllo della politica locale da parte di gruppi parassitari interessati a sfruttare il bene pubblico per perseguire interessi privati. La rigorosa analisi della struttura sociale del mezzogiorno fatta da Giannotti rileva la causa originaria della arretratezza: il divario tra una massa di poverissimi e pochi ricchi interessati a tutelare i propri interessi. Questa causa ha radici lontane ma conseguenze evidenti: come il logorarsi del tessuto sociale, la deformazione delle istituzioni locali, in particolare le Province e i Comuni, piegate a interessi particolaristici da gruppi parassitari.
Il sistema parassitario, secondo Giannotti, si alimenta dei flussi di denaro pubblico, e trova la sua base sociale privilegiata nei ceti medi meridionali, la cosiddetta “borghesia lazzarona”.
La matrice delle lezioni su cui lavora Giannotti è quella di Talcott Parsons: le economie moderne si basano sulla coppia “realizzazione di uno scopo” e “universalismo” mentre quelle pre-moderne si basano su un’altra coppia: “raggiungimento di uno status” e “particolarismo”. L’uomo della società moderna tende a realizzare qualcosa di meritorio e grazie a questo tende a ottenere un successo e un riconoscimento sociale. I criteri per valutare il merito sono universali, prescindono dalla particolare posizione sociale dell’individuo, dalle sue relazioni, dalla sua ricchezza, ecc. Invece l’uomo della società sottosviluppata tende a ottenere il riconoscimento e il successo sociale grazie alle sue relazioni sociali, alle sue amicizie, allo scambio di favori, alla posizione sociale della famiglia, alle raccomandazioni. Questa impostazione, però, non porta Giannotti a preferire il mercato di concorrenza senza limiti e una società senza valori comunitari. Al contrario, per Giannotti proprio nella società sottosviluppata, dove sono consentiti comportamenti illegali e violenti, viene meno “la possibilità di una azione collettiva istituzionalizzata, in altri termini, manca la possibilità di svolgere il ruolo che compete alla politica ed allo Stato” (pag. 60).
Si può uscire dal sottosviluppo? E con quale strategia? Giannotti riporta alcuni esempi concreti di uscita dal sottosviluppo nel mezzogiorno. Molte sue annotazioni aprono alla speranza, ma l’autore non nasconde che il nuovo è molto difficile e problematico anche se allo stesso tempo possibile. Indica alcuni casi con cui dimostra che, quando si riesce a vincere la precarietà “è come se una molteplicità di energie fino a quel momento bloccate ed isterilite venissero liberate e rivitalizzate” e in questi casi “la comunità locale si riconosce come protagonista; i vincoli clientelari perdono di significato, perché si può fare a meno della loro mediazione, e ciò spinge non solo ad una maggiore efficienza ma anche ad una maggiore democrazia”.
Ritorna così quello che Giannotti scriveva nell’editoriale del 5 giugno del 1993, uno sviluppo autonomo del sud si può basare solo sullo spirito della comunità locale.
18
maggio 2019
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[1] Interessante il blog di Cosimo Perrotta:
https://sviluppofelice.wordpress.com/tag/cosimo-perrotta/