Di Maurizio Portaluri e Vito Totire
Una proposta per realizzare a Brindisi, dove la locale Casa Circondariale va verso il suo centesimo compleanno, un esperimento di risocializzazione dei detenuti nella ex base NATO abbandonata da trent’anni è stata indirizzata al Ministro della Giustizia, al Sindaco di Brindisi, al Presidente della Provincia di Brindisi e ad altre Autorità (1) da alcune associazioni di Brindisi e Bologna. Di seguito il testo integrale della lettera aperta.
Basta carceri: si realizzi a Brindisi nella ex base Nato abbandonata un Istituto residenziale per la risocializzazione, un esempio per l’Europa e per tutto il mondo
Or che il popolo è cosciente di essere autosufficiente
Non ci sono più delitti qui a Belfast
(Da una canzone del movimento repubblicano nord irlandese)
Aneliamo ad una società che riesca a liberarsi dalla necessità del carcere; per cambiare registro rispetto alle nostre “patrie galere” occorre certamente anche cambiare il linguaggio; in questo ultimo intento ha provato a cambiare Santi Consolo, già direttore del DAP, con risultati che chiediamo a ognuno di constatare.
Non intendiamo quindi, semplicemente, trasferire la sede di un carcere; il progetto è più ambizioso.
Realisticamente questa nostra sana utopia abolizionista (una società senza carcere) non riuscirà a realizzarsi nell’orizzonte politico, culturale e cronologico del governo Draghi (anche se la ministra Cartabbia si è molto interessata alla funzione risocializzatrice della pena); allora è forse utile ragionare su un obiettivo intermedio che metta al centro una azione di miglioramento credibile sia dal punto di vita umanitario che scientifico.
La privazione della libertà come strumento per sanzionare comportamenti gravi che hanno danneggiato la libertà e il diritto altrui alla vita e alla salute è prevista dalla Costituzione repubblicana ; purtroppo fino ad ora si è fatto ricorso al carcere quasi che fosse la unica sanzione possibile; ovviamente la realtà è diversa e la “soluzione carceraria” deve essere utilizzata come rimedio estremo ma non unico; quando poi il carcere fosse per davvero “necessario” devono comunque essere evitate misure che sconfinino nei trattamenti disumani e degradanti o, peggio, nella tortura, condotte già ampiamente stigmatizzate anche in sede giudiziaria ed in sede politica (europea).
Un carcere che risponda al dettato costituzionale è lontano anni luce da quello che è oggi il carcere in Italia; gli antidoti per rendere i penitenziari rispondenti allo spirito della costituzione sono diversi e complessi; una delle questioni più importanti è lo spazio, lo spazio disponibile.
In tempi di epidemia stiamo assistendo ad una rivisitazione del concetto di spazio e dei criteri per definirne i parametri di accettabilità; la fantasia galoppa; sono comparsi banchi a rotelle, ceramiche al biossido di titanio e ascensori no touch; a questa rivisitazione, materia di fervido lavoro per architetti, arredatori, sociologi e psicologi, paiono essersi sottratti i penitenziari; per lungo tempo al tema del sovraffollamento delle carceri si è risposto misurando le celle col metro da muratore o geometra (lavori meritevoli di grande rispetto ma gli istituti di pena sono cosa diversa da un cantiere edìle) ) e si è dovuto arrivare a sentenze di Cassazione per sancire, definitivamente, che i tre metri quadrati vitali per persona devono escludere le superfici occupate da letto, armadi e suppellettili; è stato necessario un pronunciamento della Cassazione per sancire un minimo di coerenza con i precedenti pronunciamenti della UE; ma pensare che davvero tre metri quadrati a persona possano essere definiti “spazio vitale” è assurdo; il parametro proposto ha il senso piuttosto di definire, in termini di real politik e di “requisiti minimi”, il confine al di sotto del quale si sconfina nella “tortura”.
La gestione delle cosiddette attività trattamentali non può essere confinata in spazi così angusti come quelli disponibili attualmente.
Gli studi di prossemica, da tempo, studiano il nesso tra spazio fisico, benessere, distress e aggressività; anzi: gli studi indicano che più i soggetti con cui interagiamo sono disagiati dal punto di vista psicologico e sociale più la carenza di spazio e il sovraffollamento incidono negativamente; il tema è stato studiato anche in ambito occupazionale (significativa la definizione di “pollaio telematico” per inquadrare il distress connesso con gli open-space in cui venivano collocati i call-center, prima della epidemia); per i soggetti portatori di problematicità sociali la questione dello spazio deve essere gestita con particolare attenzione ad evitare condizioni di costrittività; anche importanti studi sul sonno (evidentemente più difficile in celle con letti a castello e sovraffollate, per non parlare della battitura delle sbarre ) mostrano un nesso tra riposo disturbato e anche, e non solo, aggressività e speranza di salute; è stato dimostrato che l’affollamento è associato ai sintomi fisici dello stress (Epstein, 1982) e ad una peggiore salute fisica (Fuller ed altri 1993). La spiegazione degli effetti dell’affollamento fa riferimento al controllo dell’accesso al Sé e presuppone una valutazione soggettiva (cognitiva) tra il livello di privacy desiderato e quello effettivo; in altri termini condizioni fisico-ambientali di sovraffollamento e di distress ostacolano qualunque progetto efficacemente riabilitativo; per questo in alcune tra le più avanzate esperienze in nord Europa e nel mondo, i luoghi in cui gestire la privazione della libertà hanno puntato sulla disponibilità di grandi spazi, anche aperti.
Evidente che la costrittività (la vediamo persino nella privazione o riduzione della luce naturale!) induca depressione e, in senso lato, autolesionismo, e che funzioni anche da pericoloso elemento suicidogeno.
Queste riflessioni, a fronte della evidente condizione di sovraffollamento e fatiscenza del carcere di Brindisi ci inducono a fare una proposta:
- che la sede storica attuale venga evacuata e riconvertita ad un differente uso di tipo recettivo, previa ristrutturazione integrale, e che la popolazione attualmente lì ristretta venga trasferita in una parte della ex-base Nato; La ex base Nato di Brindisi non è più attiva dal 1993 ed è attualmente in carico all’Agenzia del Demanio che nel 2007 ha ceduto a titolo gratuito il 20% all’ UNCHR. Si tratta di un’area di 160 ettari, con 260 immobili: una vera e propria città da anni dismessa e abbandonata;
- deve ovviamente fare da sfondo a questo progetto una politica nazionale complessiva di decarcerizzazione, possiamo dire, “alla olandese” per fare riferimento ad un paese in cui la classe politica, di destra e di sinistra, ha consensualmente cooperato ad una strategia svuota-carceri (veramente) che ha dato ottimi risultati anche nel senso del calo della recidiva, quindi con riflessi positivi non solo di “trattamento morale” delle persone detenute ma con effetti positivi per tutta la società;
- il nuovo contesto consentirebbe di realizzare gli spazi necessari: refettori, sala teatro, sale didattiche, biblioteche, laboratori e officine per la piena occupazione, spazi per la socialità e la affettività (tema purtroppo rimosso contestualmente alla “ibernazione” delle importanti conclusioni degli Stati generali per la esecuzione penale), luoghi di culto (plurale!), spazi esterni per attività fisiche, lavorative e sportive; il tutto in funzione di programmi di attività trattamentali coerenti con gli obiettivi del reinserimento psico-sociale e lavorativo;
- spazi adeguati devono essere garantiti anche per i lavoratori e – a loro supporto – per una adeguata scuola di formazione che favorisca la evoluzione della figura dal ruolo di mero custode a quello di agente della risocializzazione; in questo quadro vanno infatti considerate la gravi condizioni di distress che affliggono anche i lavoratori penitenziari come dimostra la inquietante serie di suicidi di cui abbiamo notizia; un tema noto da tempo e riesploso con la vicenda del suicidio dell’agente impegnato nel carcere di Turi nel mese di febbraio scorso (i suicidi sono stati 11 nel 2019, 6 nel 2020, già due nel 2021, la drammatica punta dell’iceberg di una gravissima condizione di disagio e distress lavorativo); pensiamo a un ruolo che evolve dalla custodia e dalla dotazione di armi da fuoco per arricchirsi anche delle armi ben più efficaci della psicologia sociale.
Progetto velleitario?
In realtà è un progetto che ha, letteralmente, i piedi per terra più di altri ventilati nell’ultimo decennio; pensiamo alla proposta di pochi anni fa di “carceri galleggianti con vista mare per detenuti (buoni !?)”.
Il nostro progetto è più realistico per il semplice motivo che le sue radici sono nella Costituzione, nel benessere della collettività nella sua interezza, nella giustizia sociale e nello spirito umanitario. Il primo passo per il superamento del carcere è archiviare la storia delle “patrie galere”; sperimentare un ISTITUTO RESIDENZIALE PER LA RISOCIALIZZAZIONE; costruire una esperienza che sia un messaggio per l’Europa e per l’intero pianeta.
Si può fare a Brindisi.
Brindisi – Bologna 13 marzo 2021
Maurizio Portaluri – medico ospedaliero pubblico, Vito Totire – medico psichiatra e di sanità pubblicati, Forum Ambiente Saluto e Sviluppo, Brindisi, Associazione Salute Pubblica, Brindisi, Rete per l’ecologia sociale, Bologna, Circolo “Chico” Mendes, Bologna, Centro F. Lorusso, Bologna
- Procuratore Generale della Repubblica Corte di Appello di Lecce, Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Lecce, Procuratore della Repubblica di Brindisi, Prefetto di Brindisi, Presidente della Regione Puglia, Direttore Generale dell’Agenzia del Demanio, Direttore dell’Agenzia del Demanio Puglia, Direttore Generale della ASL Brindisi, Garante Nazionale per i diritti delle persone private della libertà, Garante Regionale per i diritti delle persone private della libertà