di Maurizio Portaluri
Abbiamo cercato nella banca dati pubmed.gov evidenze sulla epidemiologia dei tumori nella popolazione carceraria. Abbiamo rivenuto numerosi studi per lo più d’oltre Oceano. Non abbiamo trovato studi italiani probabilmente perchè la popolazione carceraria, che oscilla tra i 50 e i 60 mila detenuti, costituisce una quantità statisticmente non in grado di fornire dati significativi. Oppure si tratta di una « disattenzione » della medicina italiana. Vediamo alcuni studi.
Una revisione condotta negli Stati Uniti sulla popolazione carceraria ed ex-carceraria ha selezionato venti studi. “I dati sulla prevalenza e sull’incidenza del cancro erano scarsi, ma suggerivano che i pazienti detenuti ed ex detenuti hanno un rischio complessivo di diagnosi di cancro simile a quello della popolazione generale, ma un rischio elevato di alcuni tumori come il carcinoma della cervice, del polmone, del colon-retto e dell’epatocellulare per i quali è necessaria una prevenzione efficace ed esistono interventi di screening. I dati sulla mortalità per cancro nelle carceri statali e locali erano robusti e suggeriscono che sia i pazienti detenuti che quelli precedentemente detenuti hanno una mortalità per cancro più elevata rispetto alla popolazione generale” (Manz CR, Cancer Med, 2021)
“Nel Nord America, gli studi hanno suggerito che le donne con precedenti di giustizia penale hanno circa 4-5 volte più probabilità di avere una diagnosi di cancro cervicale rispetto alle donne nella comunità libera”. “Molte donne capiscono che l’HPV provoca il cancro cervicale, ma pochissime persone capiscono che provoca il cancro del pene, il cancro anale e il cancro della testa e del collo”, afferma il dottor Ramaswamy. “Quindi anche questa è un’occasione persa ma pochissimi istituti di giustizia penale forniscono vaccini contro l’HPV”. (Nelson B,. Cancer Cytopath., 2020)
Sempre negli Stati Uniti sono stati lanciati numerosi programmi di screening di tumore della cevice in carcere.(Ramasvamy M. Health Promot Practice, 2015)
Lo screening su prelievi ematici dell’infezione di virus B dell’epatite (HBV) e la vaccinazione possono ridurre le conseguenze dell’evoluzione dell’infezione in cirrosi e cancro con un adeguato monitoraggio e nei soggtti negativi la vaccinazione può prevenre l’infezione stessa e le sue conseguenze trattandosi di una popolazione a rischio per le abitudini di vita.(Conners EE, MMWR Recomm Rep, 2023).
In una review apparsa su JAMA Surgery (Aziz H, 2021) si sottolinea la necessità di assicurare cure di buona qualità ai malati oncologi ristretti o ex ristretti in carcere. “Adeguato per età, razza, sesso e anno di diagnosi, il rapporto di incidenza standardizzato per tutti i tumori è più di 2 volte superiore nella popolazione detenuta rispetto a quella generale. Tra i decessi che si verificano nei sistemi carcerari statali e federali, il cancro è la principale causa di mortalità in generale, con il cancro del polmone che è la principale causa di mortalità specifica, seguito rispettivamente dai tumori del fegato, del colon e del pancreas”.
Un’altra osservazione condotta questa volta nel sud della Francia con uno studio caso-controllo sui casi di tumore al polmone tra il 2005 e il 2013 riguardava l’età alla diagnosi tra detenuti maschi rispetto ai controlli: 52 anni contro i 64 della popolazione. Il tasso di incidenza era di 4.5 volte tra i detenuti tra i 30 e i 40 anni rispetto ai controlli, di 3,4 volte tra i 40 e i 50 anni, e di 1,4 volte dopo i cinquant’anni. Il 99% era di sesso maschile mentre i fumatori erano oltre l’80% tra i detenuti contro il 53% nel gruppo di controllo. Questa anticipazione dell’età alla diagnosi suggerisce una più accentuata abitudine tabagica nelle carceri e conseguente necessità di screening. (Ranult L, Revue des Maladies Respiratoires, 2017)
Un vasto studio di popolazione condotto negli USA con il concorso dell’amministrazione governativa (Oladeru OT, Plos One 2022) ha evidenziato come su 216.540 adulti con diagnosi di tumore nel periodo dal 2006 al 2015, 239 sono stati dagnosticati durante la detenzione e 479 entro un anno dopo la scarcerazione. Il rischio di morte per cancro, dopo le necessarie normalizzazioni, era 1,39 maggiore nei detenuti e 1,8 nei recentemente scarcerati rispetto alla popolazione generale. Anche la morte per tutte la cause era maggiore tra coloro che avevano ricevuto la diagnosi durante la detenzionne (1.92) e quelli recentemente rilasciati (2,18).
La vitamina D è un elemento essenziale che partecipa a numerosi processi metabolici come quello dei sistemi scheletrico e immunitario con ripercussioni sulla oncogenesi. La concentrazione ematica di 25-idrossicolecalciferolo era significativamente più bassa nei detenuti da meno di 6 settimane rispetto a quelli da più di un anno. La causa è chiaramente la mancanza di esposizione al sole. Lo studio è stato condotto in uno stato USA particolarmente soleggiato, l’Arizona. Da qui la necessità di supplementare la dieta con vitamina D perché, spiegano gli autori, il «deficit di vit D è associato a una miriade di effetti sanitari avversi» (Jacobs ET, Nutrizion, 2015)
Questa incompleta carrellata di letteratura su tumori e carcere ci dice che è necessario inserire la popolazione carceraria nei programmi di screening oncologici tradizionali come quelli per la cervice uterina, il colon retto e la mammella, ma anche in quelli recentemente introdotti in alcuni paesi europei come lo screening per il tumore al polmone e per l’nfezione HBV e HCV, spesso associate ai tumori del fegato, insieme alla proposta di vaccinazione anti HPV. 9 gennaio 2024