di Vittorio Agnoletto

Esselunga fornisce, a chi la richiede, la Fìdaty Oro, la carta di credito valida per gli acquisti nei negozi della catena e online. Tra i benefit ottenibili con la carta c’è anche l’accesso per un anno alla piattaforma DOC24, e dunque ad alcune prestazioni sanitarie di base. DOC24 offre piani sanitari a pagamento modulati su differenti livelli, ognuno comprendente specifiche prestazioni. Qualora emerga una situazione ipoteticamente meritevole di un approfondimento clinico vi è poi la possibilità di rivolgersi, a pagamento e al di fuori del pacchetto sottoscritto, ad uno specialista privato. Secondo quanto riportato dal sito sono oltre 500 le strutture private convenzionate, tra le quali l’onnipresente Gruppo San Donato noto anche come Papiniano Spa (il più grande operatore della sanità privata in Italia) con un fatturato di oltre 1,6 miliardi di euro. DOC24 si rivolge anche alle imprese “come parte integrante del sistema di welfare” aziendale.

Alcune considerazioni. È a tutti evidente che una simile proposta possa trovare spazio di fronte ai limiti – sempre più evidenti – del Servizio Sanitario Nazionale: dalla lunghezza delle liste d’attesa alla mancanza dei medici di medicina generale. So bene che molte persone hanno accolto con favore l’iniziativa di Esselunga e ne capisco il motivo. Se lo Stato non ti fornisce l’assistenza sanitaria della quale hai necessità, tu cittadino ti rivolgi altrove nella misura in cui il tuo portafoglio te lo permette. Ritengo però doveroso esprimervi un mio giudizio critico su quest’operazione commerciale.

Sono critico per ragioni economiche: i pacchetti acquistabili propongono “sessioni di check salute” con batterie di esami alle quali sottoporsi senza che il più delle volte ci siano indicazioni cliniche precise per il cittadino. È il fenomeno della sovraprescrizione, e della mancanza di appropriatezza. Un consumismo sanitario indotto, come in qualunque altro settore, dalle regole del mercato.

I piani sanitari sono l’equivalente del “paghi 2 acquisti 3” che ti trascina nel centro commerciale dove volevi acquistare un paio di prodotti e dal quale, invece, esci con il carrello pieno. In questo caso l’obiettivo economico è chiaro: favorire l’adesione ai piani sanitari e, una volta eseguiti i check iniziali, spingere i cittadini ad ulteriori approfondimenti specialistici e diagnostici (ovviamente a pagamento presso le strutture private collegate alla piattaforma).

Già nel 2016 una ricerca condotta dalla Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (FNOMCeO) insieme a Slow Medicine riportava che: Il 93 per cento dei medici è convinto che i test inutili rappresentino un problema molto (55%) o abbastanza (38%) serio con cui devono fare i conti quotidianamente. Infatti, il 44 per cento degli intervistati dichiara di ricevere dai pazienti richieste di esami e trattamenti non necessari almeno ogni giorno o più volte la settimana.

Sono critico anche per ragioni mediche: fare diagnosi e/o curare una persona implica conoscere la sua storia clinica, passata e presente, e garantire continuità nell’assistenza sanitaria. Non è una successione di atti medici, che si acquistano ognuno con il proprio prezzo come in un supermercato.

Non è mio intento colpevolizzare nessuno tra chi ritiene di aderire a questa iniziativa commerciale. Penso sia bene sapere però che queste operazioni hanno come fine ultimo il trasferimento dei cittadini (e dei medici, ma su questo torneremo in un prossimo numero della newsletter) verso i grandi gruppi della sanità privata.

Tratto da Diritti in Salute di Vittorio Agnoletto che si può seguire iscrivendosi a questo indirizzo https://vittorioagnoletto.substack.com/