02 OTTOBRE 2015
|Questa relazione è stata svolta dal Sen. Francesco Carella, medico e direttore del dipartimento di presenzione della ASL di Foggia, nel convegno su “Focus su Arsenico La salute e l’ambiente” promosso dall’ISDE e dall’Ordine dei Medici di Foggia e svoltosi il 26.9.2015 a Menfredonia.
“Non vi nascondo che quando il Dott. Renato Sammarco, mi ha proposto di tenere una relazione sul tema “L’arsenico nei cicli produttivi dell’Enichem di Manfredonia” nel corso del “Focus Arsenico”, che l’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri della Provincia di Foggia avrebbe organizzato per il 26 settembre, a 39 anni dallo scoppio della colonna di lavaggio dell’ammoniaca nello stabilimento ex ANIC di Macchia Monte Sant’Angelo, la prima cosa a cui ho pensato è “che senso ha parlare su un tema che, a distanzia di 40 anni, potrebbe avere semmai un qualche interesse per chi si occupa o è appassionato di archeologia industriale del ciclo produttivo per la produzione di urea.”
Devo ammettere che, successivamente, ho maturato l’idea che, per una serie di ragioni, trovo estremamente stimolante questo “Forum Arsenico” organizzato dall’Ordine dei Medici.
La prima ragione è che, grazie all’iniziativa voluta dal Sindaco Riccardi, con l’accordo di collaborazione tra IFC-CNR, Comune di Manfredonia e ASL di Foggia, è stato avviato lo studio epidemiologico sullo stato di salute dei residenti di Manfredonia basato sulla nuova prospettiva di ricerca partecipata e condivisa tra ricercatori e cittadini, su cui parleranno successivamente la Professoressa Vigotti e il Professore Biggeri.
La seconda ragione è che l’esposizione all’arsenico porta automaticamente alla giornata del 26 settembre di 39 anni fa, quando, poco dopo le ore 10, scoppiò nello stabilimento ANIC-SNIA Viscosa di Manfredonia, la colonna di lavaggio dell’anidride carbonica che provocò la dispersione nell’ambiente di 10 tonnellate di arsenico con le conseguenze che tale evento accidentale ha provocato in termini di contaminazione ambientale e conseguenze alla salute ma credo, probabilmente è una mia impressione, che è stata sottaciuta la problematicità dell’utilizzo della tecnologia “arsenico” nel processo di assorbimento dell’anidride carbonica nel ciclo produttivo della produzione di Urea.
Tralascio chiaramente di dilungarmi sulle proprietà chimiche, fisiche e biologiche dell’arsenico, sulla sua azione cancerogena per diversi organi ed apparati, ma trovo importante sottolineare, come è a tutti noto, che l’arsenico, come qualsiasi sostanza tossica, può provocare danni acuti, sub-cronici e cronici a seconda che l’esposizione alla sostanza avviene in un breve lasso di tempo (al massimo 14 giorni) ad un assorbimento massiccio – tipica delle esposizioni accidentali – o a piccoli dosi e per lungo periodo di tempo – tipiche delle esposizioni professionali o ad inquinanti ambientali.
Detto ciò, credo sia necessario chiarire se nell’utilizzo della tecnologia “arsenico” c’era il rischio di una potenziale esposizione ad arsenico , o, per dirla più semplicemente, c’era questo rischio per i lavoratori ed i cittadini, a prescindere dallo scoppio del 26 settembre nel 1976 ?
Entrando quindi nel merito di questa problematica si può si può affermare quanto segue:
“L’uso di anidride arseniosa nel processo di assorbimento della CO2 desta grosse preoccupazioni su molti versanti: rilasci all’atmosfera , scarichi idrici, falsa acquifera, discarica di riempimenti invasati.
La Commissione tecnica che operò nello stabilimento di Manfredonia dopo lo scoppio della colonna di assorbimento, stimò che circa il 20% dell’anidride arseniosa consumata nell’impianto era rilasciata sotto forma di emissioni all’atmosfera e che l’80% era scaricata con i riempimenti delle colonne nelle discariche.
Il bilancio sull’arsenico, ripetuto con dati più aggiornati delle concentrazioni misurate di arsenico sui riempimenti scaricati dalle colonne, sembra indicare che quasi tutto l’arsenico consumato (a parte quello alienato all’esterno in occasione dei reintegri della soluzione) si accumuli sul riempimento e sia scaricato con questo. Tuttavia piccole concentrazioni di arsenico sono con continuità scaricate con le condense per una portata complessiva di circa 450/kg anno.
Né si escludere, sulla base delle considerazioni di bilancio che quantità dello stesso ordine di grandezza siano rilasciate in atmosfera”
Quanto affermato è riportato integralmente nella Relazione della Commissione Tecnica del Ministero dell’Ambiente costituita dal Comitato Stato-Regione il 18.04.1989 per la verifica del rischio, della sicurezza e della compatibilità ambientale e sanitaria dello stabilimento ENICHEM, di cui sono stato componente.
Si può stimare, desumendo i dati acquisiti nel corso dei lavori della Commissione Tecnica, che, nel corso degli anni in cui gli impianti produzione sono stati in esercizio ( 1971-1994), siano state rilasciate in ambiente sotto forma di emissioni in atmosfera e scarichi in falda circa 23 tonnellate di arsenico che sono da aggiungere alle 10 tonnellate sprigionate con lo scoppio della colonna.
Dalla lettura di questo breve stralcio della relazione della Commissione si ha piena contezza che il ciclo produttivo del processo di assorbimento della CO2 prevedeva già “a regime” rilasci di arsenico in ambiente e quindi l’esposizione continua, a piccole dosi, per i lavoratori era “ preventivata”
L’esposizione ad arsenico, prima dello scoppio del 1976, è ad esempio ampiamente documentata dalla storia lavorativa e clinica di un operaio venuta alla mia osservazione in qualità di medico del lavoro.
L’operaio, che per ragioni di riservatezza chiamerò Andrea, ha lavorato presso il reparto di lavaggio della CO2 dal 1971 al 1974. Nel 1974 per vertigini e malessere viene trasferito in altro reparto. Alla visita periodica del novembre 1973 vengono riscontrati valori di arsenico urinario di 1400 gamma/litri (v.n. 100-300/g.litri – oggi si fa riferimento all’IBE per ACGH Igienisti Americani 35 microgramma /l)
Dal 1974 al 1975 esegue sette visite periodiche senza che vengono controllate i valori di arsenico urinario.
Nel 1976 si ricovera presso la Clinica del Lavoro dell’Università di Milano e viene diagnosticata “lievi segni bioumorali di insufficienza epatica verosimilmente attribuibile a protratta esposizione a anidride arseniosa”.(arsenicuria 800 gamma/l, unghie 10 mcg/gr, peli 6mcg/gr). Al controllo del 1977 della Medicina del Lavoro dell’Università degli Studi di Bari, arsenicuria 700 gamma/litri.
Peggiora negli anni la situazione epatica, al controllo presso Casa Sollievo della Sofferenza del giugno 1980 892 gamma GT. Nel 1982 ricovero a Manfredonia con diagnosi di “ematemesi e melena da rotture delle varici esofagee per cirrosi epatica”.
Muore a Manfredonia 1983. A conclusione di un contezioso con l’INAIL viene riconosciuta l’epatopatia cronica da esposizione professionale ad arsenico.
La storia dell’operaio Andrea, ovvero della sua esposizione professionale all’arsenico, è analoga alla storie di 150 cittadini che nei giorni successivi allo scoppio del 26 settembre 1976 sono stati ricoverati nella Divisione di Medicina Generale dell’Ospedale di Manfredonia in quanto affetti da intossicazione acuta da arsenico. Come riportato, sulla rivista “Gazzetta Sanitaria Dauno –Lucana del 1979”, nella casistica, seguita da Prencipe, Pellegrino ed altri, è stato eseguito come indicatore di esposizione i livelli di arsenico nelle urine.
23 soggetti risultavano con valori di arsenicuria inferiore a 200 gamma/l, 12 soggetti con valori tra 201 e 1000 gamma/l., in 18 soggetti con valori tra 1000 e 2000, 81 soggetti tra 2001 e 4000, 16 soggetti con valori oltre 4000 gamma/l.
Dalla valutazione degli esami clinici e dei dosaggi di arsenico nelle urine risulta che la maggior parte dei 150 soggetti ricoverati per intossicazione acuta da AS è costituita dagli operai che hanno lavorato nello stabilimento petrolchimico (118). I 35 soggetti con meno di 1000 gamma/l di arsenicuria si sono ricoverati spontaneamente nei giorni successivi allo scoppio per l’acuzie della sintomatologia. Tra questi 11 erano operai dello stabilimento. I rimanenti 115 soggetti sono stati ricoverati non per la presenza di una sintomatologia acuta grave, ma per gli elevati tassi di escrezione urinaria di arsenico (oltre 1000 gamma/l), tra questi 107 erano dipendenti dello stabilimento, 8 tra la popolazione residente, quasi tutti nella zona B o che avevano consumato prodotti provenienti da quella zona .
La storia dell’operaio Andrea, insieme alle storie dei 150 soggetti ricoverati presso l’Ospedale Civile di Manfredonia per intossicazione acuta da arsenico sono analoghe alle storie dei 17 operai deceduti per tumore per cui la Procura della Repubblica di Foggia ha aperto una inchiesta con il rinvio a giudizio di 12 persone, tra dirigenti e consulenti medici, «perché – come recita il capo di imputazione – tutti, in cooperazione colposa tra loro e comunque con le proprie autonome e indipendenti condotte, cagionavano un disastro colposo, consistito nell’esposizione prolungata (protrattasi dal 26 settembre 1976 per sei anni) di un notevole numero di lavoratori (più di 1.800 tra diretti ed esterni) ai composti arsenicali dei sali utilizzati nella colonna di lavaggio dell’ammoniaca, dispersisi all’interno dello stabilimento e fuori».
La storia dell’operaio Andrea, insieme alle storie dei 150 soggetti ricoverati presso l’Ospedale Civile di Manfredonia, alle storie dei 17 operai morti sono analoghe alla storie dei 108 lavoratori, potenzialmente esposti ad arsenico aerodisperso, impiegati nell’estate del 2006 nelle attività di smontaggio, demolizione e bonifica dell’impianto Isola 5 situato nell’ex sito Enichem di Macchia Monte Sant’Angelo ai quali, l’esito della sorveglianza sanitaria ha dimostrato che nel 15 % dei campioni i livelli di Arsenico inorganico erano superiori all’Indice Biologico di Esposizione (IBE) fissato dall’ACGIH Americana in 35 microgrammi/l.
Come vedete sono storie che si ripetono, storie in cui il convitato di pietra è l’arsenico, la sua presenza nel ciclo produttivo dell’impianto Enichem di Manfredonia, la sua dispersione in ambiente, stimata in circa 33 tonnellate sotto forma di emissioni in atmosfera e scarichi in falda, ai quali sono da aggiungere i migliaia di metri cubi smaltiti come rifiuti nelle discariche interne ed esterne al perimetro dello stabilimento.
Voglio concludere dicendo che, se è ormai chiuso lo scenario del ciclo produttivo, l’arsenico pone invece in tutta evidenza la criticità delle problematiche legate alla bonifica della falda, avviata più di otto anni fa.
E’ emblematico – quanto riportato dall’Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale (ISPRA) nel documento, “Sintesi dei risultati delle attività di gestione, controllo e monitoraggio delle acque di falda. Periodo novembre2010-luglio 2012”, presentato nel corso della Conferenza di Servizi presso il Ministero dell’Ambiente e la Tutela del Territorio e del Mare del maggio 2013 ” nel punto in cui “ viene rilevato che la contaminazione per il parametro arsenico nei pozzi di estrazione (PEN23, PEN24) e nei piezometri di MISE della falda (PE06) fronte mare, il cui andamento è in continuo e preoccupante aumento, è il segnale indiscutibile della non tenuta della barriera idraulica nei confronti della diffusione della contaminazione verso il bersaglio costituito dal mare” e che “l’Azienda non esamina il problema nella sua interezza non valutando anche, anzi soprattutto, l’andamento della presenza dell’arsenico a valle dello stabilimento, in corrispondenza dei pozzi PEN 23 e PEN 24, ma il cui andamento sembra in continuo e preoccupante aumento (periodo luglio 2008-luglio 2010 : max concentrazione arsenico 1180 micorg./l in PEN 23, ultimi dati a disposizione ,luglio 2012, concentrazione pari a 2460 microg./l in PEN 24.”
Nel corso di quella Conferenza di Servizi il Sindaco di Manfredonia ha espresso la preoccupazione sulla reale efficacia dell’intervento di bonifica nei confronti della diffusione della contaminazione di arsenico, manganese, benzene, toluene verso il bersaglio costituito dal mare e del rischio per la salute pubblica che detta situazione potrebbe determinare che potrebbe rappresentare un pericolo per la salute umana.
Nel corso della stessa Conferenza in qualità di Direttore del Dipartimento di Prevenzione della ASL di Foggia, ho chiesto i necessari chiarimenti sul superamento dei limiti dei valori di arsenico stabiliti dal D.M. 260/2010 comunicato in una nota inviatami dal Direttore dell’ ISMAR-CNR in risposta ai quesiti sulle caratteristiche delle acque marine antistanti il SIN di Manfredonia e ho condiviso la preoccupazione del Sindaco, con particolare riferimento al problema del ciclo biologico della catena alimentare.
Le questioni sollevate dal Sindaco di Manfredonia, dal Dipartimento di Prevenzione dell’Asl di Foggia e dalla Capitaneria di Porto di Manfredonia in merito allo stato di qualità delle aree marino-costiere della area SIN di Manfredonia, hanno avuto una risposta nella nota del Ministero dell’Ambiente dello scorso 14 settembre con la quale si informa che è stato istituito un tavolo tecnico finalizzato a mettere a punto un nuovo modello scientifico di individuazione di valori di riferimento per i sedimenti delle aree marino costiere ricadenti all’interno del SIN. Tale tavolo tecnico dovrebbe concludere le attività licenziando una proposta condivisa entro ll’8 settembre del 2015.
In conclusione, seppur a distanza di due anni, sono state accolte le preoccupazioni e le criticità evidenziate dal Sindaco di Manfredonia, dal Direttore del Dipartimento di Prevenzione della ASL FG e dalla Capitaneria di Porto di Manfredonia.”