29 MAGGIO 2012
|Il 5 aprile scorso una nota per la stampa diffusa dal Presidente della Regione Puglia Nichi Vendola vantava alcuni risultati di buona salute della popolazione pugliese.
È quella del presidente un’analisi che tiene conto di tutti gli studi? Anche dei più recenti?
È davvero tutto rose e fiori il quadro della situazione sanitaria nella nostra regione?
Non ci sono dunque malattie da inquinamento tra le popolazioni e gli operai di Brindisi, Taranto, Bari (Eternit) e Manfredonia?
Per saperne di più leggi il seguito e se condividi, sottoscrivi e diffondi.
I primati della regione Puglia in campo epidemiologico
Il 5 aprile scorso in una nota per la stampa diffusa dal Presidente della Regione Puglia Nichi Vendola (http://www.regione.puglia.it/index.php?page=pressregione&id=12704&opz=display), si poneva l’accento su alcuni dati regionali che esprimerebbero una buona condizione di salute della popolazione pugliese. Fra questi dati si riportava una mortalità tra le più basse in Italia e un “tasso di persone che ha riportato di avere un tumore nel periodo 2004-2005 inferiore al dato italiano”.
La notizia conferma un dato già noto: l’esistenza di un gradiente, di una differenza, tra il Nord e il Sud del paese rispetto alla mortalità generale e alla mortalità per tumore. Una differenza che è a vantaggio del Sud-Italia, dove si osserva un numero di casi di tumori inferiore a quello registrato nel Nord del paese (fonte: banca dati dell’Istituto Nazionale Tumori).
Diverse sono le possibili spiegazioni del divario. Fra queste molto verosimilmente un processo di industrializzazione che nel Nord del paese è avvenuto prima che al Sud.
Un processo di industrializzazione che si è spesso tradotto in fabbriche insalubri e, dunque, in esposizioni a sostanze nocive sia dei lavoratori sia della popolazione in generale.
Un processo di industrializzazione che si è anche tradotto in un miglioramento delle condizioni materiali di vita a cui, tuttavia, si sono anche associati comportamenti non necessariamente salutari (vita sedentaria, consumo massiccio di carni rosse e fumo di tabacco).
Alla predetta nota, molto attenta a cogliere il dato positivo, sfuggono alcuni dati scientifici a nostro parere importanti per comprendere appieno il fenomeno descritto.
Il primo dato è che purtroppo il gradiente Nord-Sud, questo storico vantaggio in termini di salute di noi meridionali rispetto alla gente del Nord, negli anni si va assottigliando e le previsione non sono delle più rosee anche a causa della presenza sui territori meridionali di aree industriali riconosciute per legge come pesantemente inquinate.
Nel caso specifico dei tumori, uno studio recente (Biggeri e colleghi.: Evoluzione del profilo di mortalità 30-74 anni per le coorti di nascita dal 1989 al 1968 nelle regioni italiane. Epidemiologia&Prevenzione 2011) ha evidenziato che: “si rileva una tendenza importante all’omogeneizzazione tra le regioni […]. Per gli uomini, le coorti dei nati ai primi del Novecento mostrano tre Paesi: eccessi superiori al 30% sulla media nazionale per Lombardia, Friuli-Venezia Giulia e Veneto e deficit superiore al 40% per le otto regioni del meridione. I nati dopo la Seconda guerra mondiale mostrano invece per la Campania, la Sardegna e la Puglia eccessi del tra il 17 e il 29% contro un deficit intorno al 15% per Trentino Alto Adige, Veneto, Umbria e Marche.”
Un secondo dato è rappresentato da una ricerca resa pubblica qualche mese addietro: lo studio Sentieri (Pirastu e colleghi: Studio Epidemiologico Nazionale nei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio da Inquinamento – Risultati. Epidemiologia&Prevenzione 2011). Si tratta di una ricerca che mette sotto la lente di ingrandimento la salute delle popolazioni che vivono in 44 siti compresi nel “Programma nazionale di bonifica”. Il quadro che emerge per i 4 siti pugliesi è il seguente.
Brindisi. Gli autori dello studio riportano alcuni eccessi di mortalità rispetto alla media regionale per tumore alla pleura tra gli uomini; per tumore alla laringe tra le donne – a cui, a parere degli autori, “è plausibile che abbiano contribuito fumo e alcol, ma non è da escludere una componente occupazionale del rischio, in particolare esposizioni ad amianto e contaminanti presenti nell’area perimetrale del petrolchimico”- e un eccesso di mortalità per malformazioni congenite per le quali gli autori, pur evidenziando l’imprecisione della stima, considerano “plausibile un ruolo delle esposizioni ambientali presenti nel SIN (Sito di Interesse Nazionale ndr) in particolare è ipotizzabile un ruolo eziologico delle esposizioni a inquinanti prodotti sia dal petrolchimico sia dai siti di discarica”.
Bari-Fibronit. Gli autori rilevano eccessi di mortalità in uomini e donne per tutte le cause, per tutti i tumori e per malattie dell’apparato respiratorio.
Manfredonia. È rimarcata la necessità di condurre uno studio sui lavoratori presenti nel 1976 nello stabilimento del petrolchimico al momento dell’incidente che provocò la fuoriuscita di circa 10 tonnellate di arsenico, sostanza che l’Agenzia internazionale di ricerca sul cancro (IARC) classifica cancerogeno certo di classe 1.
Taranto. Gli autori rilevano: eccessi di mortalità per tutti i tutti i tumori in entrambi i generi; eccesso per tumore al polmone; eccesso per tumore alla pleura; eccesso per malattie respiratorie acute; un eccesso di malformazioni congenite e tra i bambini fino a 12 mesi di età un significativo eccesso di mortalità per “alcune condizioni morbose di origine perinatale”.
Per Taranto, vi è un terzo elemento di conoscenza che certamente non può passare inosservato: le perizie di chimici ed epidemiologi prodotte nell’incidente probatorio disposto dalla locale Procura della Repubblica e che vede indagata la dirigenza dell’acciaieria tarantina.
Dai mezzi di informazione è dato sapere che:
– Nel 2010 Ilva ha emesso dai propri camini oltre 4mila tonnellate di polveri e poi circa 300 chili di benzene, 338 chili di IPA, oltre 50 grammi di benzo(a)pirene; quasi 15 grammi di diossine e furani (PCDD/F).
A queste emissioni di sostanze convogliata nei camini si aggiungono gas e nubi rossastre, lo slopping, fenomeno documentato dai periti chimici e dai NOE di Lecce, fenomeno quantificato in 544 tonnellate all’anno di polveri.
– I livelli di diossina e PCB rinvenuti negli animali abbattuti e accertati nei terreni circostanti l’area industriale di Taranto sono riconducibili alle emissioni di fumi e polveri dello stabilimento Ilva di Taranto.
– Si apprende inoltre che i periti avrebbero sostenuto che all’interno dello stabilimento Ilva di Taranto NON sono osservate tutte le misure idonee ad evitare la dispersione di fumi e polveri nocive alla salute dei lavoratori e dei residenti.
La perizia di tipo epidemiologico avrebbe concluso che:
– 386 morti (30 morti per anno) sono attribuibili alle emissioni industriali;
– 937 casi di ricovero ospedaliero per malattie respiratorie (74 per anno) (in gran parte tra i bambini) sono attribuiti alle emissioni industriali;
– 17 casi di tumore maligno con diagnosi da ricovero ospedaliero tra i bambini sono attribuibili alle emissioni industriali.
Senza queste specificazioni, gli incoraggianti risultati sul noto vantaggio di salute delle popolazioni meridionali, ancorché in diminuzione, rischierebbero di occultare un dato di salute pubblica che meriterebbe, invece, a nostro parere una maggiore attenzione da parte delle politiche regionali.
I risultati favorevoli di alcuni indicatori di salute sulla totalità della popolazione regionale possono soffrire di un effetto di diluizione per cui aree maggiormente protette da minacce ambientali rischiano di mascherare le cattive condizioni di salute di aree più minacciate.
Tra le popolazioni minacciate ricordiamo i lavoratori; l’approfondimento del cui stato di salute non solo è raccomandato dall’Istituto Superiore di Sanità, nella citata ricerca Sentieri, ma anche più volte sollecitato, invano, dalle nostre associazioni.
A riguardo evidenziamo la necessità di allargare l’indagine anche ai lavoratori dell’agricoltura e di porre in atto misure di contrasto all’impiego indiscriminato di pesticidi e fitofarmaci. Misure che, dove attuate, per esempio in Svezia (Hardell: Pesticides, soft-tissue sarcoma and non-Hodgkin lymphoma historical aspects on the precautionary principle in cancer prevention. Acta Oncologica 2008), hanno già prodotto significative riduzioni di gravissime patologie tra i lavoratori e le popolazioni esposte.
Riteniamo, pertanto, non più rimandabile lo svolgimento di studi epidemiologici condotti dalla stessa Regione con continuità, per non arrivare al punto in cui queste attività, come nel caso di Taranto, scaturiscano solo da esigenze giudiziarie.
Studi che tengano conto dei differenti rischi ambientali a cui sono esposte le popolazioni nelle differenti aree della Regione. E, soprattutto, riteniamo improcrastinabili iniziative politiche di vero rilancio della prevenzione primaria per le popolazioni generali e di sorveglianza sanitaria dei lavoratori esposti ad agenti cancerogeni e nocivi.
19 maggio 2012
Stefano Palmisano per Salute Pubblica
Alessandro Marescotti per PeaceLink
Tonino D’angelo per Medicina Democratica – Puglia
Giuseppe Serravezza per LILT – Lecce