Per un servizio sanitario veramente pubblico.
Queste proposte riguardano principalmente l’accessibilità dei servizi sanitari da parte dei cittadini. Le misure messe in campo dai governi regionali sinora hanno prevalentemente mirato al controllo della spesa, per lo più attraverso tagli lineari, ed al contrasto della corruzione attraverso la centralizzazione degli acquisti. Si tratta certamente di obiettivi importanti ma una fondamentale questione rimane irrisolta: il carattere pubblico del servizio sanitario. L’inaccessibilità (chiamiamola anche “tempi o liste di attesa”) del SSR è in gran parte dovuto a tre elementi:
– La possibilità di svolgere la libera professione a vantaggio della medesima utenza del servizio pubblico da parte dei medici dipendenti pubblici;
– Il consumismo sanitario che genera un iperprescrizione di procedure mediche non sempre appropriate;
– Il finanziamento delle strutture sanitarie a prestazione con conseguente tendenza alla iperproduzione inappropriata.
Questi elementi contengono a loro volta altri aspetti tecnici che non è il caso di sviscerare qui, ma si vuole semplicemente porre il problema della enorme difficoltà che un comune cittadino oggi incontra nel ricorrere a cure specialistiche al di fuori di una situazione emergenziale. Se non si affronta questo ostacolo si rischia nei prossimi anni di avere un servizio sanitario con i conti in ordine ma nel contempo cittadini con minori possibilità di cura. Come ovviare a questo problema?
Dei tre elementi suddetti, quello più facilmente aggredibile è di certo il primo. La libera professione dei medici pubblici italiani è una rarità se si prendono a riferimento servizi sanitari pubblici universalistici di altre nazioni, ma anche altri settori della pubblica amministrazione. Pensare ad una sua abolizione a livello regionale sarebbe pura utopia. Esistono però alcuni rimedi che possono contenere il suo effetto negativo sull’accessibilità ai servizi.
– Prevedere un ambulatorio specialistico in ogni reparto specialistico per i codici bianchi, senza prenotazione cioè ad accesso diretto, su indicazione del medico di medicina generale e pediatra di libera scelta e medico di continuità assistenziale;
– Concordare con le OO.SS. anche con una apposita contrattazione regionale, accanto all’esercizio del diritto a svolgere la libera professione intramoenia o extramoenia, anche il diritto a rinunciare al suo svolgimento da parte del professionista che si mette a disposizione del servizio pubblico per attività ulteriori a vantaggio della accessibilità del cittadino. Questa disponibilità dovrebbe essere remunerata non con prestazioni aggiuntive, ma con una più alta retribuzione di risultato, cioè con una voce stipendiale già esistente ed incrementabile;
– Unica lista di attesa per prestazioni a carico del SSR e in libera professione.
– Creazione ope legis di gruppi interdisciplinari di patologia in modo da accorciare e rendere più efficace la valutazione del paziente, non più costretto a girare tra gli specialisti.
Uno o più di questi rimedi potrebbero essere inseriti negli obiettivi dei direttori generali o in un atto deliberativo o legislativo regionale. La possibilità di accedere immediatamente ad un consulto specialistico avrebbe un effetto positivo sulla salute del cittadino, eviterebbe la richiesta di esami inutili, agirebbe positivamente sul reddito delle persone non più costrette a pagare di tasca propria per superare i tempi di attesa, migliorerebbe la fiducia dei cittadini nel servizio sanitario pubblico, accrescerebbe col tempo la quota di operatori sanitari finalizzati solo al buon funzionamento del servizio pubblico.
Per un servizio sanitario delle comunità locali e degli operatori.
La governance del SSR è stata caratterizzata negli ultimi anni da un crescente accentramento delle decisioni. Gli stessi direttori generali, che pure operano con prerogative monocratiche, hanno visto trasferire al Centro molte decisioni che appartengono ai poteri loro propri. Tutto ciò ha ridotto l’apporto delle professioni e delle comunità locali alla formazione delle decisioni. In una prima fase si assistette ad un coinvolgimento in parte demagogico dell’associazionismo attraverso la riattivazione dei comitati consultivi misti sulla base della ipotesi, non del tutto corretta, che questo rappresenti sempre ed in modo autentico gli interessi dei cittadini. Un ruolo importante poteva essere svolto dalle conferenze dei sindaci che, stando ai verbali degli incontri, forniscono pareri formali, non entrano nel merito delle scelte strategiche, operano secondo logiche campanilistiche o partitiche. Alcuni poteri di interdizione dei sindaci sono svolti senza che gli stessi abbiano alcuna responsabilità delle decisioni che inducono o ostacolano.
Ma quello che è scomparso completamente nelle decisioni strategiche sono le professioni sanitarie. I collegi di direzione sono chiamati a ratifiche formali, i piani strategici organizzativi e tecnologici sono assunti in maniera monocratica dalle direzioni generali. E’ ragionevole ritenere che questa sia una delle cause della arretratezza dei SSR meridionali rispetto alle altre regioni.
E’ necessario creare un Consiglio delle professioni sanitarie, su base elettiva, che coadiuvi le direzioni generali fornendo pareri obbligatori sulle scelte strategiche.
Per una assistenza sanitaria basata sulle evidenze epidemiologiche.
Di fronte alla necessità di riorganizzare l’offerta assistenziale ed alla esplosione di alcune emergenze ambientali i SSR meridionali (si pensi a Terra di fuochi, Taranto, Brindisi, Val Basento, Pertusillo, ecc) hanno mostrato una notevole impreparazione e gravi carenze conoscitive. In questi dieci anni le unità di epidemiologia delle ASL sono state lasciate in una inerzia pressoché totale dovuta sia alla palese scarsità delle risorse destinate, soprattutto umane, ma anche ad un comando politico il quale, timoroso che da una elaborazione dei dati sanitari potessero generarsi contraccolpi negativi per le attività economiche in essere, ha sempre disincentivato con richiami, diffide e chiusure la diffusione di dati stessi.
È evidente che per un cambiamento di rotta su questo fondamentale tema, riguardante peraltro la prevenzione primaria cioè quella che contrasta le cause delle malattie, sia necessaria una nuova consapevolezza e volontà politiche che potrebbero esprimersi nell’obbligo da parte delle ASL di pubblicare annualmente un “bilancio di salute” in cui siano aggiornati tutti i dati sanitari disponibili nel sistema informativo (mortalità, ricoveri, farmaceutica, abortività, malformazioni neonatali, ecc.). Dati che dovrebbero essere analizzati con l’ausilio anche delle agenzie di ricerca presenti sul territorio.