In Italia la magistratura ha conseguito molti meriti nella repressione dei reati da lavoro ed ambientali ed ha avuto, ed ha, anche quello di dare impulso alla conoscenza dei fenomeni sanitari correlati ad esposizioni ambientali ed occupazionali.
Giova ricordare il ruolo della magistratura a Porto Marghera e a Taranto, per citare anche un esempio di atteggiamento virtuoso finanche al sud della penisola, e recentemente a Mantova.
A Taranto, sebbene vi fossero stati diversi studi epidemiologici, condotti anche da istituzioni di rango nazionale ed internazionale, nessuno di essi aveva adottato il disegno cosiddetto di coorte, ossia capace di registrare nel tempo le informazioni di tutti i residenti e associarne eventi sanitari rinvenibili da fonti di dati correntemente archiviati in ospedale, durata della residenza e livello di esposizione a inquinanti di fonte industriale. Lo studio di coorte, quello dal quale si evince che 30 decessi all’anno sono dovuti alle polveri industriali, è stato reso possibile grazie all’intuizione della Procura della Repubblica tarantina.
Il 14 ottobre scorso il Tribunale di Mantova, giudice Matteo Grimaldi, ha condannato per omicidio colposo 10 dei 12 imputati, ex dirigenti e manager della Montedison. Dei 73 morti al petrolchimico di Mantova per malattie correlate all’esposizione a sostanze lavorate (amianto, diossine, benzene, stirene, butadiene, acrinlonitrile e dicloretano) fra gli anni 1970 e 1989, soltanto 11 hanno ottenuto risarcimento per un ammontare di 8 milioni. Sono gli operai morti per mesotelioma, tumore ai polmoni collegato all’esposizione all’amianto ed un linfoma correlato all’esposizione al benzene. La vicenda giudiziaria prende il via nel 2000. Due gli spunti che fanno partire l’inchiesta. Il primo è lo studio epidemiologico di Paolo Ricci dell’Asl di Mantova, che riscontra nella zona intorno agli stabilimenti e fra gli operai un numero più alto di alcuni tipi di tumore, correlabili scientificamente all’esposizione alle sostanze lavorate nel petrolchimico. Il secondo è un esposto che due consiglieri regionali fanno in Procura sulla scorta dello studio presentato da Ricci.
La ASL di Mantova, nel cui ambito territoriale e’ insediato il Petrolchimico già Montedison, ha effettuato diversi studi epidemiologici, in particolare ha raccolto dati ed informazioni derivanti dalla correlazione tra alterazioni dello stato di salute ed indicatori di esposizione a rischi ambientali. Inoltre la medesima ASL ha effettuato uno studio su inquinamento ambientale e salute riproduttiva a Mantova, dentro e fuori il perimetro del Sito di Interesse Nazionale per le bonifiche, individuando eventi sanitari avversi all’interno dell’area inquinata.
Sul piano giudiziario, a Brindisi, nel 2004, un procedimento penale promosso dalla locale Procura della Repubblica su alcuni casi di mesotelioma pleurico in esposti all’amianto nel petrolchimico si concluse con l’assoluzione degli imputati perchè il fatto non sussiste. Nel 2008 il procedimento per le decine di morti di lavoratori per vari tipi di tumore, probabilmente riconducibili all’esposizione al cloruro di vinile monomero, gemello del processo al Petrolchimico di Marghera si è concluso con una archiviazione per l’assenza, tra le vittime, di casi di angiosarcoma epatico. Nel 2011 un angiosarcoma epatico è stato diagnosticato ad un operaio che si chiamava Vincenzo Di Totato ed un angiosarcoma surrenalico ad un altro operaio, Luigi Sciarra.
Questa è la cronaca giudiziaria.
Sul versante politico, nel dicembre 2013, la Giunta Regionale pugliese ha deliberato un Protocollo operativo per la realizzazione di un programma straordinario “Salute Ambiente per Taranto”, finanziato con 5milioni di euro. Il protocollo prevede diverse linee di intervento, fra queste, la “Conduzione di indagini di epidemiologia analitica” e cioè l’aggiornamento dello studio di coorte di Taranto, condotto nell’ambito delle attività disposte dal GIP dott.ssa Todisco e la redazione, in collaborazione con la ASL di Brindisi, di una indagine similare anche nell’area di Brindisi ai fini, si legge nel piano, dell’“esecuzione del rapporto di Valutazione di Danno Sanitario”.
Per condurre questi studi, tuttavia, è necessario disporre di tecnici e ricercatori preparati. Nonostante da più parti si siano levate voci di sconcerto rispetto al sottodimensionamento delle unità di epidemiologia all’interno delle Asl, nulla è stato fatto negli ultimi 15 anni in Puglia. I danni alla salute dovuti all’inquinamento a Brindisi sono noti grazie ad indagini spontanee di ricercatori del CNR e di medici ospedalieri. Indagini che hanno talora subito rallentamenti proprio da parte di chi avrebbero dovuto al contrario favorirne la conduzione.
Ed ecco allora che nel giugno di quest’anno, la Regione, constatata evidentemente l’impossibilità delle sue strutture di epidemiologia di far fronte a tali attività, affida l’incarico di svolgere questi studi ad autorevolissimi ricercatori del Dipartimento di epidemiologia del Lazio. Da un lato si tratta di un passo avanti rispetto al passato che, tuttavia, dimostra anche come in questi anni non vi sia stata alcuna volontà di indagare la salute delle popolazioni più a rischio e che solo sotto la pressione delle Procure della Repubblica il potere politico è stato indotto ad assumere qualche decisione.
Per ora a Brindisi non vi è un’indagine epidemiologica né vi è una sorveglianza epidemiologica sul modello di quanto è avvenuto a Taranto o avviene Mantova. Questa carenza di conoscenza e azione politica riguarda sia i lavoratori dell’area industriale sia le popolazioni che vi abitano vicino e ciò, nonostante segnalazioni di malattie e decessi correlati con le sostanze emesse giungano continuamente alle istituzioni competenti. A tutto questo si aggiunga che le migliaia di lavoratori esposti a sostanze cancerogene ed attualmente in pensione, gli ex-esposti, pur avendo diritto per legge ad una sorveglianza sanitaria per una diagnosi precoce delle malattie che potrebbero contrarre, continuano ad essere abbandonati a se stessi.