Ormai le informazioni dalle carceri arrivano solo dagli agenti penitenziari; apprendiamo dunque tramite questa fonte, da Il Resto del Carlino, che un alto detenuto della Dozza è stato ”trovato morto”; una inquietante formulazione linguistica che farebbe pensare “lo avevamo perso e lo abbiamo ritrovato (appunto) morto”, è il terzo morto da novembre 2021, tutti e tre nordafricani; chiediamo agli epidemiologi se questo “dato” può sembrare un caso.
Che quella persona era stata persa, nel senso di “abbandonata” era evidente; infatti se ci chiediamo quale sia la dotazione di mediatori culturali , di psicologi e di psichiatri con formazione multiculturale la risposta è che la dotazione resa disponibile dalle istituzioni è prossima allo zero: le gestione concreta e materiale di gran parte delle carceri italiane è fonte di disperazione, induzione al suicidio o all’autolesionismo; la popolazione penitenziaria italiana è ad altissimo rischio sanitario e il ricorso ai “paradisi artificiali” è sempre stata, storicamente, un tentativo di fuga che non parte da una spinta endogena di cui il soggetto possa essere ritenuto “colpevole”, è invece un tentativo di autocura con cui la persona cerca di rispondere a suo sentimento di disperazione e di solitudine.
Dire che le persone detenute fanno un uso “ludico” dei farmaci significa usare una chiave di lettura fuorviante; i pochi dati conosciuti evidenziano che la spesa farmaceutica per la popolazione detenuta è enormemente più alta rispetto alla popolazione esterna al carcere. Evitiamo confusioni: l’iperconsumo di psicofarmaci “legalmente” somministrati è una forma di “contenzione chimica” a cui la istituzione decide di ricorrere pensando che sia l’unico modo di gestire certe condizioni di costrittività che spesso debordano in trattamenti disumani e degradanti; questa prassi crea dipendenza, assuefazione e ricerca progressiva di aumento delle dosi. Dove si è indagato la percentuale di fumatori in carcere essa risulta tripla rispetto al fenomeno fuori. Il triplo: chiunque comprende che si tratta di un sintomo di gravissimo distress psicosociale.
Il carcere, per come “funziona” oggi non è idoneo ad “ospitare” persone particolarmente a rischio alle quali occorre invece garantire alternative extra-carcerarie: libertà provvisoria e sospensione pena per motivi di salute con destinazione ad arresti domiciliari e comunità terapeutiche dove devono essere proposti e gestiti veri programmi di riabilitazione e risocializzazione; al contrario oggi persone che hanno grande necessità di percorsi terapeutici sono abbandonate a se stesse, all’ozio e alla inedia; una condizione che esaspera la appetenza di “paradisi artificiali”; ma quando queste persone vi ricorrono sono considerate – lombrosiamente – ancora e nuovamente colpevoli; ma –evidentemente- anche dalla strage di Modena del marzo 2020 non si vuole trarre l’unica conclusione ragionevole: la inidoneità del carcere per persone che presentano un particolare profilo d rischio.
Nel corso della passata consigliatura comunale abbiamo lanciato la proposta di una istruttoria pubblica sul tema del carcere: nessuna risposta; nessuna risposta anche dalla Ausl di Bologna che ci nega l’accesso ai rapporti semestrali fin da quello del primo semestre 2020! Così ci viene negato l’accesso ai dati analitici sull’acqua “potabile” del carcere (a proposito di rapporti semestrali negati parliamo di Bologna, visto che invece la Ausl di Modena, su richiesta, ha fornito tempestivamente quello che è stato richiesto).
Il “clima” generale è molto negativo: la “minoranza rumorosa” (il partito “butta la chiave”) predomina nel facile gioco di non mettere in discussione lo status quo. Mentre la Corte costituzionale ha deciso che i cittadini italiani non hanno diritto di pronunciarsi sulla coltivazione domestica di cannabis: oltre che la negazione di un diritto costituzionale la decisione contribuirà ad ulteriori e “inutili” carcerazioni; le istituzioni sanitarie stanno a guardare mentre la portata della strage cresce di mese in mese; i diritti costituzionali sono senz’altri riconosciuti ma solo nei comizi parolai.
La morte di Bojan Taoufik marocchino di 40 anni, “trovato morto”, esige una risposta immediata dai cittadini che vogliono difendere i diritti costituzionali e dalle istituzioni sanitarie e civili.
Rilanciamo la proposta: istruttoria pubblica comunale sul carcere di Bologna.
Vito Totire
Bologna, 15 maggio 2022