Di Maurizio Portaluri
Prima gli ultraottantenni, prima le forze dell’ordine e gli insegnati, ora prima i malati oncologici o forse sarebbe meglio prima i malati cronici. In questo disordinato susseguirsi di precedenze che bellamente viene chiamato “piano vaccinale” si nasconde il vero “prima”, quello del profitto di chi produce il vaccino e davanti al quale si inchinano i governi perché non possono e non vogliono metterlo in discussione. Lo Stato dei paesi occidentali ha la forza di imporre ai semplici cittadini una chiusura ma non ce l’ha per requisire brevetti, conoscenza ed impianti e produrre così vaccini, e quant’altro servirà nel futuro prossimo, per tutti.
Cuba ha sviluppato 4 vaccini e la società pubblica Biocubafarma si appresta a produrne 100 milioni di dosi che serviranno anche all’esportazione. India e Sudafrica hanno presentato all’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) il 2 ottobre 2020 una richiesta di una deroga ai brevetti e ad altri diritti di proprietà intellettuale su farmaci, vaccini, strumenti diagnostici e dispositivi di protezione individuale per tutta la durata della pandemia. Ma proprio l’11 marzo scorso le nazioni componenti non hanno raggiunto l’accordo per l’opposizione de “i paesi ad alto reddito più il Brasile”.
L’argomento che i vaccini sono prodotti sulla base di una conoscenza che nasce in strutture pubbliche e con scienziati operanti in servizi sanitari pubblici sarebbe già sufficiente perché il governo si schierasse dalla parte dei più deboli, cioè dei cittadini che hanno il diritto di essere vaccinati tutti e subito. Ma ce ne è uno più forte, anche se negli ultimi decenni è diventato debolissimo, ed è il diritto alla salute o forse, come diceva Simon Weil, il bisogno della salute perché del tuo diritto non se ne importa nessuno, ma il tuo bisogno non possono far finta di non vederlo. In tutto il mondo ci sono state donne e uomini che non hanno potuto interrompere il lavoro: nelle fabbriche, nei supermercati, nei campi, nelle attività domestiche per assicurare il pane a sé e agli altri. Sbaglieremmo se dicessimo “prima” questi, diciamo prima tutti quelli che hanno bisogno, che non possono stare a casa. Si obietta che non basta abolire il diritto di proprietà intellettuale, il brevetto, per avere i vaccini. E poi una volta avuti i vaccini bisogna somministrali. C’è sempre un “ben altro” da opporre quando si chiede ad un governo di mettersi dalla parte dei più deboli. Magari si fa una legge per imporre l’obbligo vaccinale ad alcune categorie, ma non si fa per acquisire uomini e mezzi per produrre vaccini per sé e per gli altri.
Il cambio di governo va in direzione opposta, l’idolatria del profitto è emersa nel discorso programmatico di Draghi e nelle dichiarazioni di voto. Che cosa significano altrimenti, come ci ricorda il prof Salvatore Cingari “l’appello ad una sorta di darwinismo sociale, volto a promuovere un debito sano diretto a premiare soltanto le imprese competitive” del discorso del premier o “l’accento sulla necessità di tornare a valorizzare il rischio contro la regressione a politiche assistenzialistiche” dell’intervento della capogruppo di Italia Viva, Maria Elena Boschi? Ma nei fatti, tra l’altro, premio della competizione e valorizzazione del rischio non si sono tradotti in socializzazione delle perdite come l’altra faccia della idolatria del profitto, centralità della rendita parassitaria, compressione dei salari e precarizzazione del lavoro, rifiuto dell’interesse generale?
Dove la pandemia è stata messa sotto controllo, cioè nei paesi orientali, la battaglia è stata vinta col tracciamento rapido. Qui da noi il tracciamento è partito in ritardo e ancora oggi in alcune aree, come al Sud, è molto debole perché servono reagenti e personale. Quest’ultimo è carente perché si è preteso di far funzionare anche l’università come una azienda. Della “app” Immuni non se ne sente più parlare, sulla produzione e somministrazione dei vaccini siamo in ritardo. Spiegare il tutto con l’incapacità della classe dirigente sarebbe un grave errore ed un imperdonabile alibi: il vero motivo è politico ed è il primato riconosciuto al profitto anche in una fase emergenziale come questa.
Dove sono i difensori dei più deboli? Uno sicuramente in una stanza della Città del Vaticano, attorniato da lupi e inascoltato nelle periferie occidentali. Gli altri, quelli che sulle loro bandiere continuano a mal celare parole di democrazia e di uguaglianza, interpretano ruoli afoni in qualche ministero o si domandano se sia meglio Tizio o Caio a capo del partito, incuranti dell’affondamento della nave. Chi si lamenta per la mancanza di voci di sinistra in Italia, ha davanti un tema concreto che attende di essere assunto. Altrimenti i poveri faranno da soli e con esiti imprevedibili.
Articolo pubblicato su Nuovo Quotidiano di Puglia il 13 marzo 2021