Di Maurizio Portaluri
All’inizio del luglio scorso, in apertura di un convegno intitolato «Laboratorio Sanità 2030 Campania » il presidente di quella regione, Vincenzo De Luca, ha pronunciato un discorso che presenta punti di notevole interesse anche per noi pugliesi. L’evento riguardava la sanità del territorio e la prospettiva della telemedicina e vedeva riunite industrie del digitale ma anche esponenti della sanità nazionale ed in particolare di quella che è ormai diventata per le politiche sanitarie un surrogato del Parlamento cioè la Conferenza Stato-Regioni. Il governatore campano ha detto che è ora di porre fine all’attuale divisione del fondo sanitario per cui le regioni del nord ricevono una quota pro capite almeno il 40 % più alta di quelle del sud con la giustificazione, addotta da quasi venti anni, che in quelle aree risiede una popolazione più anziana e quindi più bisognosa di assistenza. Al sud la deprivazione sociale, cioè la povertà, e la maggior presenza di infanzia hanno un notevole peso nel determinare bisogni di salute ma questa evidenza non viene riconosciuta in termini di risorse finanziarie assegnate. Sconsolato De Luca lamentava che a queste sue rimostranze si è risposto con uno 0,5 % di fondo sanitario in più al sud per ciascuna delle questioni da lui sollevate.
Il pulpito, si dirà, non è dei più credibili considerato che il partito di De Luca è a favore dell’autonomia differenziata, che allargherà ancora di più il solco che divide il Mezzogiono dal resto del paese, e perchè la Campania ha una forte presenza di sanità privata che evidentemente non è una soluzione per contrastare la mobilità passiva, cioè quella preferenza di molti cittadini del sud di farsi curare al nord che tanto male fa alle casse delle regioni meridionali. Ma il discorso di De Luca, che vale la pena di ascoltare anche per alcuni passaggi pittoreschi su queste e altre questioni, non fa una piega: i cittadini del sud per la sanità, e non solo, sono cittadini di serie B!
Il Sud ha di certo pesanti responsabilità per la sua distanza in infrastrutture e servizi rispetto al Nord, e una di queste riguarda la classe politica che nei suoi studi ha ben descritto l’economista Emanuele Felice : classe politica « estrattiva » e non « inclusiva », parole nuove per dire un fenomeno vecchio cioè clientelismo, che soddisfa richieste individuali o di gruppo e non disegna assetti di interesse collettivo come, appunto, le infrastrutture e i servizi. Ma responsabilità ricadono anche sulla classe politica nazionale: nei programmi elettorali il sud non c’è se non in negativo con, appunto, l’autonomia differenziata.
Sarebbe quindi una giustificata speranza quella di chi vorrebbe che nei « tavoli » nazionali dei partiti in fervente attività in queste ore gli esponenti politici meridionali stiano negoziando maggiore giustizia per le popolazioni che rappresentano in cambio del sostegno elettorale attraverso quelle candidature sicure e quei collegi blindati di cui soltanto le cronache politiche riescono a riferire.
Si dirà che noi meridionali siamo facili nelle lamentazioni e quasi ci crogioliamo nel reiterarle. La sanità, si sa, è gran parte della tassazione, e nei paesi che tanto ammiriamo per le aliquote fiscali basse, si stipulano a parte costose assicurazioni, ma la prospettiva della riduzione delle proporzionalità della tassazione anche in Italia si accompagnerà inevitabilmente alla riduzione delle risorse per la sanità pubblica e universalistica ed in particolare di quelle per il sud: meno tasse, meno cure.
La sanità sinora è stata vista come un peso dai fautori delle politiche di austerità e non è mai stata inclusa in un progetto complessivo di vivibilità e di innovazione . Possiamo trovare amministrazioni locali che primeggiano nella « turistizzazione » del loro territorio e nel contempo danno meno importanza alla qualità dell’offerta sanitaria. Un controsenso che privilegia l’attrazione verso chi viene per pochi giorni o ore piuttosto che verso chi in una citta abita tutto l’anno e potrebbe non restarvi più emigrando o verso chi potrebbe decidere di venire a viverci interessato da un contesto globalmente sicuro in cui la qualità dell’assistenza sanitaria rappresenta il tassello più importante. Senza tralasciare le ricadute economiche di una buona sanità, di alto livello relazionale e tecnologico, sui servizi, sulle forniture, sul mercato degli alloggi, effetti collaterali benefici che le regioni del nord sfruttano da decenni a vantaggio delle loro economie e a discapito delle casse delle nostre regioni e delle tasche delle famiglie che migrano per curarsi.
La sanità al sud ha compiuto indubitabili progressi negli ultimi venti anni, ma le performance e la reputazione restano sempre ad un livello inferiore nella classifica nazionale. Tuttavia alcuni « oasi » virtuose ci dicono che laddove insistono realizzazioni di qualità rileviamo anche attrazione di prefessionisti che si muovono sempre verso le situazioni lavorative a maggior contenuto innovativo e non solo economico e rifuggono dalle realtà caratterizzate da obsolescenza e costrittività. Quindi una buona sanità è in grado di attrarre anche personale qualificato che in tempi di scarsità sarebbe già un ottimo risultato.
pubblicato su Nuovo Quotidiano di Puglia del 18/08/2022