“La responsabilità della cura”, libro di Sandro Spinsanti

L’orizzonte che misura l’assistenza sanitaria con il numero delle prestazioni sanitarie erogate rischia di ostacolare un pieno dispiegamento della responsabilità della cura. Aperto dalla presentazione di Guido Giustetto, presidente dell’ordine dei medici di Torino, e dalla  prefazione di Barbara Mangiacavalli, presidente Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche, a significare che la cura interessa tutti gli attori della sanità, chiuso da una intervista fatta all’autore da Diego Gracia, direttore della rivista  spagnola “En persona” nel 2021, Sandro Spinsanti torna il libreria con un saggio che è un po’ una summa dei temi che interessano la cura responsabile (La responsabilità della cura, Oltre l’orizzonte delle prestazioni sanitarie, Il Pensiero Scientifico Editore, 2024, pp. 193).

Il libro si compone di tre parti. Nella prima, Il territorio della cura: geografia e percorsi, analizza i vari tipi di etica nel contesto della cura (In che modo l’etica bussa alla porta della medicina), il tempo spalmato sul percorso di cura dove il tempo è il tempo opportuno, il kairos e sempre “slow”; le cure palliative auspicabili superando il dualismo di una medicina che si ispira a Marte, maschia ed eroica, ed una che si ispira a Venere, donna, dolce e con sentimenti umanitari. Il termine ‘palliativo’ è ambiguo e va superato con quello di cure simultanee perché non è altra cosa dalla medicina che guarisce quella che interviene quando non è più possibile guarire. La dimensione spirituale della cura in ogni tempo è quella dello stare al mondo in punta di piedi, protesi vero la Grande Salute che è

“l’energia spumeggiante, l’allegria dello spirito” ma sa anche prendere su di sé, superare e trasformare in salute quanto di malato ci viene incontro nel percorso vitale. Include il vitalismo, ma lo trascende. La Grande Salute è, in definitiva, la nostra vita stessa in quanto processo di autorealizzazione e trascendimento. (pag. 86)

 La ricerca in medicina: l’inquietante presenza del sospetto verso la medicina, i medici, le loro ricerche, i loro consigli per le scelte di policy, come nel recente caso del Covid19, del quale l’autore cerca l’origine ed esamina le possibili cause.

Nella seconda parte, La cura nutrita di parole, si cercano Le parole corrette, rivisitando termini come paziente, palliazione, terminale, missione, umanizzazione e empatia. Convivere tra “stranieri morali”, nel cantiere sempre aperto delle regole deontologiche per codici deontologici sempre da rinnovare ma che garantiscano la terzietà e l’affidabilità dei professionisti. La dignità difesa da indebite intrusioni, che individua delle condizioni in cui la dignità della persona pone limiti all’agire dei sanitari. Curare i curanti feriti tratta i bisogni di formazione, di distacco e di cura di cui anche i curanti hanno bisogno.

Nella terza parte del volume Leggendo leggendo… si capisce la cura, si trova forse il capitolo sicuramente più originale perché non riguarda solo esempi letterari della cosiddetta medicina narrativa, ma anche la condivisione di un vissuto, misery report nel mondo anglosassone, “racconti del dolore”. In questa parte l’autore analizza otto romanzi da cui ricava utili insegnamenti per lo scopo del libro.

La medicina narrativa sul palcoscenico dei premi letterari, il romanzo Ada D’Adamo Come d’aria. Un esempio di medicina narrativa per una cura sobria-rispettosa-giusta.

In Se la vecchiaia bussa alla porta della narrazione, il titolo Spazzolare il gatto di Jane Campbell: una raccolta di racconti sulla vecchiaia anche sui suoi aspetti più crudi ma vitali.

La cura: l’ordito e la trama analizza Le campane di Bicetre di Georges Simenon. Un manager viene atterrato da un ictus dirompente che gli spegne la parola e davanti alle cure di una infermiera deve accettare il modello non volontaristico della cura dei professionisti, una cura senza pregiudizi ma che ha i suoi paletti di tempistica.

Quando il buon samaritano esaurisce le sue riserve di filantropia. Attraverso la vita di Sigrid Nunez racconta di un’amica del cuore che viene chiamata almeno ad assistere, se non può aiutare, ad una eutanasia. E si parla del limite che può avere il volontario che a un certo punto butta la spugna, perché il suo non è un dovere professionale e lo slancio altruistico può comprensibilmente esaurirsi.

Istruzioni per addormentare il “tedesco”. Adesso che sei qui di Maria Pia Veladiano, dove il “tedesco” è l’Alzheimer malattia che viene definita “la morte che si lascia dietro il corpo”.

In Non un vecchio di meno La morte moderna di Carl-Henning Wijkmark, parla della eutanasia obbligatoria in una narrazione fantastica, alludendo anche a quella velata di silenzi, insufficienze, indifferenza di molte realtà. Spinsanti propone tre tempi: quello delle parole oneste, quello delle scelte in cui bisogna decidere di passare alla palliazione, il tempo della crescita che non è l’aggiungere dei giorni ma la crescita “ideale,  (che) è (quella) in consapevolezza, nell’orizzonte della spiritualità.”

La vecchiaia visitata dalla narrazione, prende spunto da Vi prego, cercate di capire di May Sarton, con narrazione di una tremenda reclusione in una casa di riposo dove gli ospiti vengono degradati nella loro autonomia mentale e nella loro dignità, per richiamare l’attenzione sulla necessità di ripensare questo tipo di strutture.

Ancora una parola… l’ultima. Le gratitudini di Delphine de Vigan pone la protagonista anche questa volta in una casa di riposo dove non ci sono maltrattamenti ma un notevole disempowerment realizzato con le parole e con modalità subdole che sviliscono e svalutano le persone anziane e non autosufficienti realizzando quella che viene da alcuni chiamata la “psicologia sociale maligna”. Ma la protagonista ha un compito in sospeso, da completare, ringraziare chi da bambina le ha salvato la vita. L’ultima parola, appunto, a volte è un ringraziamento che si è rinviato nel tempo.

Maurizio Portaluri

8 ottobre 2024