Di Maurizio Portaluri
La violenza maschile sulle donne si è ripresentata nella espressione gravissima dell’efferato assassinio di Sonia Di Maggio a Minervino il primo febbraio scorso per mano dell’ex fidanzato della ventinovenne romagnola in procinto di trasferirsi nel Salento.
Le cronache delle settimane precedenti non erano state povere di questo tipo di notizie. A Ceglie Messapica una giovane donna è morta in ospedale a seguito delle lesioni riportate durante la selvaggia aggressione patita nella propria abitazione, alla presenza del figlio quindicenne, ad opera di due uomini, padre e figlio. A San Michele Salentino, durante una notte di dicembre, una pattuglia dei Carabinieri ha intercettato una donna che vagava nelle campagne in pigiama e scalza, con evidenti segni di percosse attribuite al convivente, che è stato destinatario di un provvedimento di allontanamento. E’ di gennaio la notizia di un 45enne, del quale si riportano solo le iniziali (chissà perché non si riportano le generalità ed anche la foto come accade con gli arrestati per altri reati) che ad Ostuni è stato tradotto in carcere per violenze sulla madre e sulla moglie con distruzione di mobili e di auto. Questo tipo di violenza, di gran lunga la più importante rispetto alle altre violenze perpetrate nelle relazioni verso prossimi congiunti e che vedono protagonisti figli contro genitori, genitori contro figli, donne contro donne, bambini e anziani, concorre in modo consistente a minare la salute di molte persone. Le donne uccise nel 2020 per i motivi più diversi ha riportato il procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi, all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2021 – sono state 112, una in più rispetto al 2019, con una media di circa due alla settimana. Dal 2000 a fine ottobre scorso sono state 3344 le donne uccise dal loro partner in Italia. Una ecatombe che cela una vastità di violenze non sempre denunciate. Un carico di morte, lesioni e turbe psichiche per donne e spesso figli che costituisce senza dubbio un vero e proprio problema di salute pubblica. I numeri risultano più bassi al Sud, ma ciò potrebbe essere dovuto alla minore popolazione residente. Il tentativo di spiegare questi omicidi con l’infermità mentale dell’assassino costituisce una modalità fuorviante e ritarda i cambiamenti necessari. La cultura patriarcale che sottende il fenomeno sembra ricevere, poi, negli ultimi tempi un incredibile impulso da parte di un linguaggio pubblico che ha perso remore ed indugi e ritiene inaccettabile che si dia la responsabilità dell’accaduto solo all’uomo.
Non siamo di fronte ad una emergenza, ad un evento eccezionale, ma questa violenza appartiene alla normalità’ degli usi e dei costumi dominanti. La violenza da sommersa emerge quando i maschi avvertono traballare la loro posizione di secolare predominio e reagiscono a quegli atteggiamenti femminili che, finalmente, si oppongono allo status quo secolare. Con un parallelo con la violenza mafiosa, del sistema mafioso, come del sistema patriarcale, si può dunque asserire che ogni soggetto ne è partecipe, ma al tempo stesso vittima. Gli uomini maltrattanti non sono un corpo estraneo, vivono in mezzo a noi, sono il bubbone che rivela il malessere dell’intero organismo, bollarli come squilibrati e malati è un modo inconscio di auto-difesa psicologica e culturale; di segnare un fossato inesistente tra loro’ e noi’; di negare che essi sono il sintomo visibile di un sistema strutturale, persistente, invisibile di cui tutti noi maschi (e moltissime donne) siamo parte e di cui siamo corresponsabili (Augusto Cavadi, L’arte di essere maschi).
Un errore sarebbe, quindi, quello di enucleare la violenza sulle donne da altre forme di violenza a cui assistiamo quotidianamente. Questa violenza ha le sue radici nel modello maschile che non sa fare i conti con se stesso, con i suoi sentimenti e con la sua rabbia. La violenza sulle donne è un problema di noi uomini che non sappiamo vedere un modo di essere maschi diverso da quello discriminatorio, duro, violento che in molte famiglie e in molti contesti educativi, formali e informali, viene insegnato o, più semplicemente e purtroppo efficacemente, agito. Privilegio, durezza, discriminazione sono modi per conservare e non far accedere ad un potere che si dà per scontato debba essere solo maschile. Ma questo tipo di maschio è anche vittima della sua visione perché si priva della felicità di un rapporto gioioso con l’altro sesso e del sesso ha quasi sempre un’esperienza povera e censoria, quando non intollerante, di ogni sua espressione libera e creativa.
Le prospettive non sono però così cupe: numerosi gruppi di uomini si interrogano e divulgano una maschilità diversa da quella patriarcale, come la rete Maschile Plurale, Uomini in cammino e tanti gruppi spontanei che lentamente diffondono una nuova speranza nella nostra società malata di violenza. La presa di coscienza di alcuni uomini ed un cambiamento della loro cultura maschile saranno utili esempi per altri uomini e non lasceranno più solo alle donne l’incombenza di dimostrare che una società in cui si annida la violenza non è conveniente per nessuno.
Pubblicato sul Quotidiano di Puglia il 4 febbraio 2021