Pubblichiamo l’articolo che segue apparso con lo stesso titolo sul British Medical Journal il 4 maggio 2021 a firma di Claudia Lodesani, presidente MSF Italy, Silvia Mancini, Raffaella Ravinetto, Favila Escobio, Zeno Bisoffi. Gli autori ringraziano, per averli ispirati nel lavoro di medicina umanitaria, Gianfranco De Maio (1960-2020) medico in MSF per 20 anni, impegnato in missioni in tutto il mondo e artefice in Italia della esperienza milanese di accoglienza dei senza tetto dopo le dimissioni ospedaliere e a Roma dell’ambulatorio per le vittime di tortura. (Traduzione a cura di Karin Artro, studentessa del Liceo scientifico Ribezzo, Francavilla Fontana, BR). Al link di seguito l’articolo completo di bibliografia in inglese.
Le risposte adeguate ai flussi migratori sono state sempre più ostacolate in Europa da politiche che limitano la libertà di movimento e favoriscono la stigmatizzazione dell’assistenza umanitaria. Tali politiche si basano su un’interpretazione restrittiva delle leggi sui rifugiati, sull’abuso dei centri di detenzione, sulla limitazione dell’accesso ai servizi sanitari e criminalizzazione dei migranti. Anche se la maggior parte degli strumenti legali riconosce il diritto alla salute per tutti, comprese le persone in movimento, le esigenze sanitarie dei migranti rimangono trascurate. Inoltre, le organizzazioni che conducono operazioni di ricerca e salvataggio salvavita sono spesso accusate di collusione con i trafficanti di esseri umani.
Questo scenario è diventato ancora più complesso dopo l’inizio della pandemia di covid-19. In primo luogo, i controlli alle frontiere e le misure per limitare la mobilità sono stati rafforzati come parte della risposta alla pandemia, con un grave impatto sull’accesso di rifugiati e migranti a servizi sanitari e informazioni adeguati. In secondo luogo, condizioni di vita inadeguate, come sovraffollamento e alloggi informali nei paesi di transito o di arrivo, aumentano il rischio di contrarre covid-19 e altre infezioni. In terzo luogo, i vincoli logistici legati alla pandemia hanno causato un rallentamento delle operazioni di ricerca e soccorso nel Mar Mediterraneo centrale e hanno costituito un ostacolo per fornire aiuto umanitario ai richiedenti asilo. Sulla base della nostra esperienza in Médecins Sans Frontières (MSF), le operazioni di ricerca e soccorso e l’assistenza sanitaria durante il viaggio migratorio sono essenziali per una risposta adeguata ai flussi migratori e per affrontare adeguatamente i bisogni di salute dei migranti, compresi quelli legati alla pandemia, come parte di un approccio coordinato di salute pubblica.
Salute e diritti umani durante i viaggi migratori
Dal 3 maggio 2015 al 31 dicembre 2019, 339.476 migranti sono stati soccorsi nel Mar Mediterraneo centrale da diversi portatori di interessi come organizzazioni istituzionali, ONG, attori commerciali tra cui i pescatori, coordinati dalla Guardia costiera italiana. Di questi, 81.186 sono stati soccorsi o trasferiti dalle navi di MSF. Tra il 1° gennaio e il 30 settembre 2018, MSF ha soccorso 3.184 persone e condotto 1.385 consultazioni a bordo. I problemi più comuni erano benzene, ustioni chimiche (86/1.385; 6,2%), ferite (70/1.385, 5,1%), ipotermia (62/1.385, 4,5%) e lesioni correlate alla violenza (39/1.385, 2,8%). Su 3.184 individui, 464 (14,6%) appartenevano a categorie di vulnerabilità predeterminate: 81/464 (17,5%) erano minori non accompagnati, 216/464 (46,6%) erano vittime di tortura/maltrattamenti, 121/464 (26,1 %) erano sopravvissute a violenza sessuale e 27/464 (5,8%) erano possibili vittime di tratta sessuale. La maggior parte di loro era transitata attraverso la Libia, Paese chiave per le rotte migratorie.
L’UE e alcuni Stati membri hanno adottato politiche che delegano il controllo dei flussi migratori, facendo sì che i paesi vicini come la Libia agiscano di fatto come guardie di frontiera europee. Queste politiche hanno provocato sistemi di detenzione crudeli e creato sofferenze umane senza precedenti, con persone soggette a detenzione a lungo termine nei centri gestiti dal ministero degli interni libico o dalle milizie locali, spesso in condizioni disumane. Ad esempio, è stato riferito che tra il 1° settembre 2018 e il 31 maggio 2019, almeno 22 persone sono morte nei centri di detenzione di Zintan e Gharyan. Lo screening nutrizionale effettuato da MSF presso il centro di detenzione di Sabaa (Tripoli) su 205 individui nel febbraio 2019, ha rilevato che una persona su quattro era malnutrita o sottopeso. Nel 2018, MSF ha aiutato 1.783 migranti giunti in Italia dopo essere stati sottoposti a torture durante il viaggio. È molto probabile che coloro che sono stati rimpatriati forzatamente in Libia rientrino nello stesso ciclo di violenza.
Dati più recenti suggeriscono che nel 2020 sono state condotte meno operazioni di ricerca e soccorso rispetto agli anni precedenti, sia prima che dopo l’adozione delle misure di contenimento della pandemia. Secondo quanto riferito, le 2.300 persone detenute nei centri di detenzione in tutta la Libia fino a luglio 2020 sono state tenute in condizioni di sovraffollamento e antigieniche, con scarso accesso a cibo e acqua e nessuna possibilità di adottare misure di contenimento del covid-19, come il distanziamento fisico. Inoltre, le visite delle organizzazioni umanitarie ai centri di detenzione sono state ridotte a causa delle restrizioni ai movimenti e dell’insicurezza legate alla pandemia.
Le condizioni di vita tendono ad essere inadeguate anche nei paesi europei di transito o di arrivo. Un’indagine condotta nel 2015 tra circa 10.000 migranti che vivono in 27 insediamenti informali in Italia ha indicato che 11 insediamenti erano privi di acqua corrente, 13 elettricità, 2 acqua potabile e 6 persino servizi igienici. Le conseguenze sulla salute pubblica di tali situazioni saranno solo amplificate durante una pandemia, poiché le misure essenziali di salute pubblica – come il distanziamento sociale, l’igiene delle mani e l’autoisolamento – difficilmente possono essere attuate in tali circostanze.
I dati dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR, ora noto come Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati) suggeriscono che meno persone sono morte o disperse nel Mar Mediterraneo centrale nel 2020 (473) rispetto al 2019 (750), con una diminuzione dei tassi di mortalità segnalati. Dal 3,7% (750/20.506 partenze) nel 2019 all’1,4% (473/33.953 partenze) nel 2020. Tuttavia, questo potrebbe essere soggetto a grave sottostima a causa delle difficoltà nella raccolta dei dati sulle morti dei migranti nel 2020.
La diminuzione delle operazioni di ricerca e soccorso umanitario, combinata con la mancanza di qualsiasi attività condotta dall’UE, si traduce in un vuoto sempre più pericoloso nel Mediterraneo centrale, dove il numero di individui che tentano di compiere il viaggio dalla Libia all’Europa è drammaticamente aumentato nel 2020 secondo l’UNHCR. Inoltre, un’assistenza sanitaria inadeguata durante e dopo il viaggio, sia nei centri di accoglienza che negli insediamenti informali, rende impossibile prevenire, diagnosticare e curare diverse condizioni curabili e impedisce persino l’adozione di misure adeguate per contenere la pandemia. La pandemia sta fornendo ulteriori prove dell’urgente necessità di un approccio inclusivo per l’accesso alla salute dei migranti in Europa. Tutti dovrebbero avere accesso ai servizi medici essenziali; e durante le epidemie e le pandemie, nessuno dovrebbe essere escluso dai piani di risposta alle epidemie. Inoltre, l’imperativo morale di salvare vite umane dovrebbe essere riconosciuto da tutte le parti interessate e dai responsabili politici e dovrebbero sostenere gli sforzi per salvare coloro che cercano di raggiungere l’Europa.
Come personale medico europeo e specialisti della salute pubblica al servizio dei pazienti e delle comunità all’interno dei nostri confini e oltre, dovremmo assumere una posizione etica pronunciando apertamente contro le politiche che minacciano la salute, la vita e la salute pubblica e combattendo la disinformazione. Oggi più che mai, nel mezzo di una pandemia senza precedenti, la solidarietà deve andare oltre i confini nazionali. La raccolta sistematica, l’analisi, la condivisione e la diffusione di dati solidi ed etici saranno essenziali per plasmare politiche orientate alla salute pubblica e ai diritti umani e per contribuire alla costruzione di una società inclusiva, in grado di rispondere adeguatamente alle esigenze mediche anche nelle emergenze globali.
5 giugno 2021