di Maurizio Portaluri
Il 30 gennaio scorso si è svolta una assemblea pubblica nella sala consiliare del Comune di Manfredonia durante la quale è stato presentato lo studio epidemiologico sui lavoratori dell’ANIC che furono coinvolti nell’incidente del 1976. Il 26 settembre di quell’anno l’esplosione della colonna dell’impianto urea disperse nell’ambiente una quantità di anidride arseniosa, noto cancerogeno, stimata in oltre 10 tonnellate. Negli anni 2000 un procedimento penale si concluse con una assoluzione degli imputati, per lo più dirigenti aziendali, perché il fatto non sussiste. Nell’ambito delle indagini che portarono al processo fu disposta dall’allora PM dott.ssa Lidia Giorgio una indagine sulla coorte dei lavoratori esposti in periodi successivi all’incidente.
A distanza di quasi vent’anni da quella indagine e di quaranta dall’incidente il gruppo di ricercatori, guidato dal prof. Annibale Biggeri e dalla dott.ssa Mariangela Vigotti, incaricato nel 2013 dal Sindaco di Manfredonia, Angelo Riccardi, perché fosse stimato l’impatto di quell’evento sulla salute della popolazione e dei lavoratori ha concluso il suo lavoro. Nel giugno scorso furono presentate le risultanza dello studio ecologico sulla popolazione che evidenziarono un incremento di mortalità per tumori del polmone negli anni successivi all’incidente ed un aumento delle malformazioni neonatali. Il 30 gennaio scorso sono state presentate le risultanze dello studio sui lavoratori. La coorte dei lavoratori è la stessa analizzata nel predetto procedimento penale ed è stata aggiornata fino al 2016 dal dott. Emilio Gianicolo del IFC-CNR, componente del gruppo dei ricercatori. Sono stati condotti confronti tra lavoratori dell’urea, del caprolattame e dell’appalto.
Dal confronto della mortalità tra i lavoratori e la popolazione della Provincia di Foggia emerge che gli addetti più esposti nelle operazioni di disinquinamento presentano eccessi di mortalità per tumori dell’apparato respiratorio – in particolare del polmone – delle ossa e degli organi genitourinari. Tra tutti i lavoratori si riscontrano valori elevati di mortalità per melanoma della pelle. Inoltre, si verificano eccessi di mortalità per mesotelioma pleurico, verosimilmente attribuibili ad esposizione all’amianto, utilizzato massicciamente negli impianti petrolchimici.
Per il tumore polmonare tra i lavoratori delle ditte in appalto si può ipotizzare un ruolo causale dell’esposizione ad arsenico. In particolare, 5 casi di tumore polmonare non si sarebbero osservati (intervallo di confidenza al 95%: 1-8) se non vi fosse stata esposizione ad arsenico.
Infine, dallo studio emerge che tra i lavoratori residenti a Manfredonia si è registrato un rischio di mortalità per tumore al polmone superiore ai lavoratori non residenti. Questo dato smentisce la vulgata fatta circolare per decenni che l’arsenico elevato nelle urine dei lavoratori dipendesse dall’alimentazione a base di crostacei dei manfredoniani. Qualunque sia il racconto che si vuole accreditare sull’arsenico urinario, lo studio dimostra che i lavoratori residenti a Manfredonia sono morti per tumore al polmone più dei residenti in altri Comuni e non certo per i gamberetti.
Lo studio sui lavoratori conferma l’intuizione di Nicola Lovecchio che denunciò i primi casi di tumore al polmone già nel 1996 e di Medicina Democratica che la sostenne nei diversi gradi del processo. Anche se la giustizia non è stata in grado di rinvenire responsabilità penali, gli studi commissionati dall’Amministrazione Comunale di Manfredonia evidenziano che l’incidente del 1976 ebbe sulla popolazione e sui lavoratori un impatto negativo.
Brindisi, 6 febbraio 2018