Antonio MANIGLIO

Una miseria. I 9 miliardi destinati alla sanità sui 196 previsti dal Recovery fund sono uno schiaffo agli italiani. Si tratta di una cifra risibile, di poco superiore a quanto viene assegnato annualmente alla sola Puglia per gestire il proprio sistema sanitario. Numeri alla mano significa che ci toccheranno 570 milioni di euro. Ridicoli!

L’idea che con i fondi europei si potesse potenziare la sanità pubblica pugliese, messa in sofferenza dalla seconda ondata pandemica, rafforzando le branche dell’emergenza-urgenza, rinnovando macchinari e tecnologie, digitalizzando l’intero sistema, irrobustendo la medicina territoriale, va a farsi benedire. E finisce in soffitta il sogno ingenuo di quanti fantasticavano sul superamento del divario sanitario tra nord e sul del paese. Niente! Tutte buone intenzioni per lastricare ancora una volta l’inferno.

E mentre la coalizione sfasciacarrozze – Grillo, Meloni e Salvini – blocca i 37miliardi del Mes – e il PD aspetta, riflette, va a fondo… alle questioni – alla riorganizzazione della sanità arriva poco più di una mancia. E allora qui in Puglia ci teniamo un sistema che processa qualche migliaio di tamponi al giorno – tra l’altro con una percentuale altissima di positivi – e costringe tanti pugliesi a fare l’esame a pagamento presso i pochi e fortunati laboratori privati autorizzati; che sposta i pazienti da Foggia e Bari al “Fazzi” di Lecce, confidando sulla buona stella dei salentini. E che, quando finirà l’emergenza coronavirus, spingerà di nuovo migliaia di pugliesi a riprendere il treno o l’aereo per andare a curarsi in “Alta Italia.”

Eppure l’emergenza sanitaria, esemplificata anche dalla débâcle del modello lombardo, sembrava avesse messo d’accordo tutti: partiti, maggioranza e opposizione, perfino i virologi. E d’altronde chi non vuole rimbambire nella leggerezza di post e like può riguardare il rapporto 2020 della corte dei conti. Un mattone di 494 pagine che fotografa in modo piatto ma chiaro i guai della sanità italiana. Anzitutto le differenze con gli altri paesi europei: mentre l’Italia destina alla sanità il 6,5% del Pil, la Germania e la Francia si attestano rispettivamente sul 9,5% e il 9,3%; poi c’è il capitolo dei tagli selvaggi di questi anni: dal 2012 al 2018 in Puglia si sono persi 1621 posti di lavoro, tra medici e operatori (che si aggiungono ai circa 2000 tagliati dal 2000 al 2012); sempre dal 2012 al 2018 inoltre sono stati cancellati altri 1249 posti letto negli ospedali per un totale di 12543 posti letto disponibili rispetto, ad esempio, ai 17395 dell’Emilia (a proposito di differenza tra nord e sud).

Dietro l’aridità dei numeri della corte dei conti c’è un’organizzazione sanitaria che in tempi ordinari si presenta a macchia di leopardo, con un alternarsi di eccellenze e arretratezze (queste ultime concentrate, purtroppo, nelle regioni meridionali). Ma quando arriva l’evento imprevedibile e travolgente ci si ritrova disarmati. In questi mesi si è visto di tutto: dalle mascherine e dai reagenti che non si trovavano al collasso degli ospedali, dalle ambulanze che non arrivano allo squagliamento della medicina del territorio.

Domanda: guardando a ciò che è accaduto, e temendo purtroppo una terza ondata, come si giustifica la decisione di stanziare solo 9 miliardi? Evidentemente significa che, al di là della ipocrisia delle parole, non pesano gli oltre 60mila deceduti e le centinaia di medici e infermieri morti, né la dedizione con cui ancora oggi migliaia di operatori sanitari stanno facendo il proprio dovere. Non contano le persone lasciate morire a casa, abbandonate e senza assistenza perché negli ospedali non c’era un letto disponibile, né quelle che per fortuna si sono salvate con le bombole d’ossigeno attaccate ai finestrini delle auto. Ci si è dimenticati – questa è la verità – dei camion di Bergamo e del loro triste carico. Spiace dirlo, ma anche questa è una forma di negazionismo, più sovversiva di quella dei no-vax, perché arriva dal cuore del governo del paese. Fanno bene gli altri paesi europei a chiedere serietà e rigore all’Italia nell’uso dei fondi del recovery fund.

Solo un paese eternamente provvisorio può ballare, con una pandemia ancora in atto, e con acuti fenomeni di sfilacciamento sociale provocati dalla crisi economica, sull’orlo di una crisi di governo. E che lo scontro si concentri spudoratamente sul chi deve gestire i soldi e non anche sul come, quando e dove spendere è solo un’ulteriore pessima messa in scena della politica. Lo si percepisce anche nei dibattiti parlamentari: è il solito gioco delle parti alla ricerca di una popolarità da baraccone. Manca il cuore. I politici di questi tempi moderni e modesti non posseggono purtroppo “l’arte della telepatia delle emozioni”, avrebbe scritto Kundera, che consente l’autentica partecipazione a ciò che preoccupa le persone: la salute, il lavoro, il futuro. Non è quello che ci si aspettava dopo aver vissuto il periodo più duro della storia della Repubblica e mentre ancora incombe un incerto presente.

(pubblicato su Quotidiano di Puglia 13 dicembre 2020)