Poveri direttori generali delle ASL pugliesi! Secondo una norma regionale dovrebbero comprimere la spesa farmaceutica e per assicurarsi che questo avvenga la legge dispone la pena della decadenza. Una norma che chi la promulga sa già che è inapplicabile perché il responsabile è da un’altra parte e non sempre visibile. È un po’ come il supplizio delle Danaidi che nell’Ade riempivano eternamente un grande vaso bucato con l’acqua di fonte. Chi vuole curare tutti e lascia la regolazione della produzione e commercializzazione dei farmaci in balia del mercato, o non conosce la filiera dei farmaci innovativi o mena il can per l’aia.
Negli anni 2022 e 2023, il tetto della spesa farmaceutica nazionale è stato ripetutamente sforato, rispettivamente di 2,7 e 1,1 miliardi di euro, di cui oltre il 40% per l’acquisto dei farmaci innovativi oncologici e dei farmaci immunomodulatori. Questo dimostra che, nonostante le azioni messe in campo finora, la spesa farmaceutica è fuori controllo e la sostenibilità a medio e lungo termine del nostro Servizio Sanitario Nazionale (SSN) è minacciata.
Nel 2023, in Italia, la spesa farmaceutica del SSN per i farmaci oncologici innovativi è stata di 4 miliardi e 400 milioni di euro, molto superiore ai finanziamenti pubblici per altre aree dell’oncologia come prevenzione primaria, screening e cure palliative.
Per la ricerca clinica, secondo un’analisi del Cergas-Sda Bocconi, i finanziamenti pubblici, nel 2019, oscillavano tra 700 e 800 milioni di euro all’anno – la stessa cifra spesa in un anno per l’acquisto di due immunoterapici. Il contributo pubblico per la ricerca clinica non superava dunque il 5% del totale. La maggioranza degli studi, in fatti, sono sostenuti dalle industrie farmaceutiche – studi profit
Per quanto riguarda la prevenzione primaria e secondaria, si stima che, in Italia, il 40% dei tumori – circa 146 mila diagnosi ogni anno – potrebbe essere evitato con stili di vita sani, applicando le normative per il controllo dei cancerogeni ambientali e implementando gli screening dei tumori mammari, colo-rettali e uterini. Eppure, il Ministero della Salute, nel Piano Oncologico Nazionale ha stanziato per la prevenzione oncologica meno di 50 milioni di euro per l’intero quinquennio 2023-2027. Il Ministero della Salute ha stanziato cioè in cinque anni circa un decimo di quanto spende annualmente per l’acquisto di un solo farmaco immunoterapico.
Lo Stato Italiano, nella legge di bilancio 2024 ha previsto per il Fondo vincolato alla realizzazione delle finalità della legge sulle cure palliative e terapia del dolore solo 10 milioni di euro annui. Questa cifra è del tutto inadeguata. Si pensi per esempio che un reparto oncologico provinciale di media grandezza per l’acquisto dei farmaci antitumorali spende ogni anno il doppio.
I farmaci innovati hanno prodotto significativi miglioramenti della sopravvivenza, ma sono costosissimi, alcuni che presentano, poi, piccole varianti rispetto a quelli in uso non sono proprio efficaci come promettono. Certamente le agenzie regolatorie li approvano, ma la qualità degli studi alla base dell’approvazione viene molto criticata, spesso sono studi che mostrano equivalenza o non inferiorità rispetto ad altri farmaci innovativi già esistenti. Inoltre la ricerca dovrebbe puntare a trattamenti meno frequenti per ridurre il disagio dei pazienti, come è stato fatto recentemente per l’insulina nei pazienti con diabete di tipo 2, ma non è così.
Un altro aspetto che incide sul costo dei farmaci sono i conflitti di interesse.
I Comitati etici per la ricerca, si trovano in una condizione di conflitti di interesse con l’industria farmaceutica sia perché diversi loro componenti sono consulenti, opinion leader o beneficiari a vario titolo dell’industria, sia perché i comitati ricevono un compenso economico dalle case farmaceutiche per la loro attività valutativa.
Le agenzie regolatorie hanno conflitti d’interesse con l’industria farmaceutica, perché si avvalgono anche loro di consulenti che hanno rapporti economici di vario genere con le case farmaceutiche e perché le agenzie stesse forniscono consulenze a pagamento all’industria.
Le società scientifiche si trovano in stato di conflitto d’interesse con l’industria quando ricevono importanti sussidi economici senza i quali non potrebbero sopravvivere. Allo stesso tempo molti medici sono consulenti, opinion leader beneficiari delle case farmaceutiche dell’aggiornamento professionale o sono relatori a pagamento in meeting promossi dalle stesse.
Le associazioni dei pazienti dovrebbero perseguire esclusivamente i vantaggi di salute di coloro che rappresentano, esercitando il ruolo di advocacy sulle decisioni che riguardano l’introduzione di nuovi farmaci a carico del SSN. In Italia si calcola che oltre l’80% delle associazioni riceva supporti finanziari dall’industria e agisce in buona fede, sotto la spinta di seducenti campagne di marketing, a cui è difficile opporsi.
I conflitti d’interesse, possono anche sfociare in veri e propri reati, corruzioni, frodi e abusi oggetto di analisi da parte dell’Istituto per la Promozione dell’Etica in Sanità (ISPE) e di provvedimenti giudiziari da parte della magistratura, come si ricorderà anche in Puglia in anni non lontani.
Se il farmaco rimane una merce come le altre, non potrà che subire la logica della massimizzazione del profitto e tutte le agitazioni politiche di queste settimane rischiano di ridursi ad un teatrino neppure tanto divertente per gli ammalati.
Maurizio Portaluri
articolo pubblicato su Nuvo Quotidiano di Puglia del 24 febbraio 2025