Il Servizio Sanitario Regionale. Il nostro è un paese la cui sanità ha venti velocità, quante sono le Regioni. Esiste una legge nazionale a cui le stesse si devono attenere, ma con i principi di aziendalizzazione e regionalizzazione previsti dal d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 e il d. lgs. 17 dicembre 1993 n.517, hanno acquisito poteri di gestione e organizzazione istituendo il Servizio Sanitario Regionale.
Le modalità di accesso ai servizi, sono diversificati, nonostante i LEA (livelli essenziali di assistenza) previsti dalla norma nazionale (la 229 del 1999). Ci sono Regioni che per diversi motivi (scarse risorse o spese male) non coprono o non sono dotate di alcune attività specialistiche, per cui i cittadini ricorrono allo strumento della mobilità, indebitandosi, o peggio costringono gli utenti a rivolgersi a strutture a pagamento.
Questo stato dei nostri servizi, spinge oltre cinque milioni di cittadini a rinunciare alle prestazioni per cure, per le lunghissime liste di attesa e a quasi cinquecentomila a non poter acquistare i farmaci. Un quadro di fortissime disuguaglianze che non sono compatibili con un paese civile. A questo si aggiunge la fortissima spinta al ricorso all’attività a pagamento (intramoenia ed extramoenia) per via delle lunghe liste di attesa, attività considerata per norma come strumento per ridurle. Questa commistione tra attività istituzionale (con ricetta e ticket o esente) e a pagamento è una pratica tutta italiana, unica in Europa e che per mette a chi ha i soldi di scegliersi in tempi rapidi il professionista e curarsi e a chi non ce li ha ad attendere le lunghissime liste o disperato a rinunciare.
Un paese normale, che rispetta lo stato di diritto, si attiverebbe a cancellare questa pratica, che non restituisce dignità ai più deboli e che rappresenta un cancro da sopprimere, da asportare. Altro che il miglior sistema sanitario del mondo, certo, ma solo sulla carta, solo nei principi. Ci sarà mai un governo che assumerà il coraggio di farla finita con questa commistione e fare una riforma vera, che sia in grado di stabilire i confini gestionali ed organizzativi tra il pubblico e il privato? Ci sarà mai un governo che provveda a far rispettare la norma contrattuale sul rapporto esclusivo, obbligando tutti gli operatori a lavorare o nel pubblico o nel privato?
I Servizi del nostro territorio. La Rete Oncologica Pugliese, partita un anno fa con grande propaganda, esiste solo sulla carta e nella testa di qualche politico. L’ospedale di riferimento, l’Istituto Tumori Giovanni Paolo II (IRCCS), ha tanti limiti. Gli spazi per l’accoglienza dei pazienti e dei parenti sono insufficienti, i bagni sono spesso sporchi e senza carta igienica e salviette asciugamani. I pazienti nei servizi di cura, vengono assegnati per la terapia e i controlli, ora un medico ora ad un altro, i cui pareri spesso sono diversi e contrastanti tra di loro, suscitando perplessità e sfiducia nei pazienti. Si impone un’organizzazione che permetta l’assegnazione dei pazienti in gruppi allo stesso medico, per garantire un rapporto di continuità e fiducia. Ma anche qui spesso condiziona molto l’attività a pagamento. Per quanto riguarda i controlli radiografici, essendo il riferimento della Rete, il medico prescrittore dovrebbe inserire direttamente la richiesta nella rete e avere una risposta in tempo utile. Invece come in tutte le strutture, si prescrive e si dice al paziente, vai a fare questo o quest’altro esame, e il povero ammalto deve chiamare diversi servizi non solo della Regione Puglia, ma anche di altre Regioni, per ottenere nei tempi previsti una prenotazione. Una lotta impari da parte del paziente, che deve lottare contro il tumore e contro i servizi. Ma la Rete Oncologica non era stata istituita con l’impegno che dopo la diagnosi il paziente veniva assegnato alla stessa, che provvedeva a tutto, dalla cura ai controlli?
Il Poliambulatorio di Altamura. Dovrebbe chiamarsi PTA (Presidio Territoriale di Assistenza) ma anche queste strutture nella nostra Regione non sempre sono state avviate, esistono solo sulla carta. Partiamo dalla buona notizia. A partire dal 12 febbraio, finalmente, non si faranno le triple file. La prima per prenotare, la seconda per registrarla, la terza per ottenere la prestazione specialistica. Per gli esenti ticket l’accesso è diretto al servizio, la registrazione viene fatta nella unità operativa, come avviene da anni presso l’Ospedale della Murgia e in tutti i servizi della Regione. Ma tutto è avvenuto scaricando il lavoro di registrazione sugli infermieri, il cui computer non è collegato al sito centrale della ASL, per cui non sono in grado di verificare se l’utenza è in regola con l’esenzione e se ne ha diritto. Sarebbe stato sufficiente collegare il computer al CUP e soprattutto formare e istruire gli infermieri con il supporto, nelle ore centrali, per qualche settimana, di un esperto amministrativo. Nello stesso poliambulatorio si dà precedenza alle donne in gravidanza e questo è giusto e si fa in tutti i servizi, ma non si fa altrettanto con i pazienti oncologici che hanno il cosiddetto codice 048. E’ inspiegabile ed inaccettabile questa organizzazione e questa procedura di accesso, che al contrario di quanto avviene presso l’ospedale della Murgia e in altri presidi della Regione, non concede il diritto di priorità come per le donne in gravidanza. Eppure siamo nello stesso paese Italia, nella stessa Regione Puglia, nella stessa ASLBA, e nella stessa città di Altamura. Qui la responsabilità è del direttore della struttura che deve rispettare le regole di accesso, come si fa in tutta la ASL e deve aver rispetto dei più deboli, dei pazienti più sofferenti e deve avere consapevolezza che l’organizzazione del lavoro deve essere finalizzata ai bisogni dei pazienti e quindi personalizzata ai casi e alle patologie più gravi. Ci vuole la scienza per applicare queste minime regole deontologiche nel rispetto dei pazienti più bisognosi? Ci vuole solo buonsenso.
La prima visita. Dopo la prima visita, lo specialista spesso chiede al paziente il controllo a sei mesi o a un anno. In quasi tutti i servizi del nostro paese, ma anche in molti del nostro territorio, è lo stesso specialista richiedente che inserisce il paziente nella sua lista di attesa. Nei servizi della nostra ASL avviene raramente, e la conseguenza è il mancato rispetto dei tempi indicati dallo specialista, per i lunghissimi tempi di attesa. Anche in questi casi la strategia è sempre la stessa, spingere l’utenza a chiedere prestazioni a pagamento in tempi rapidissimi. Infatti la spesa privata (quella che i cittadini estraggono dalle proprie tasche, almeno quelli che ne hanno la possibilità) è in forte aumento, fino a raggiungere percentuali del 40%.
La burocrazia. Soprattutto nella sanità, per le ricadute sulla salute, è il peggior nemico dell’efficienza e delle buone pratiche. E’ ormai prassi consolidata che molte richieste di prestazioni specialistiche vengono inviate per la prescrizione al medico di famiglia, sul cui budget si caricano e creando difficoltà al paziente per le diverse file che è costretto a fare. E’ sicuramente una cattiva pratica (bad pratice nella medicina internazionale) che ha solo finalità contabili ed amministrative, che definirei tribali, perché sfiduciano il paziente che si fa del servizio una immagine di cattivo funzionamento e non lo aiutano a semplificare l’accesso.
24 febbraio 2020